Il compito che si trovano di fronte i grandi della Terra non potrebbe essere più cruciale: concordare le regole di funzionamento dell’Accordo di Parigi stipulato nel 2015 e che dovrebbe essere pienamente operativo dal prossimo anno, per perseguirne efficacemente gli obiettivi e mantenere il riscaldamento globale entro le soglie di rischio individuate dalla scienza.

Attualmente infatti, come anche quest’anno puntualmente il rapporto Unep sul divario delle emissioni sottolinea, gli impegni di riduzione delle emissioni presi dagli Stati non sono sufficienti a evitare le conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici: ci metterebbero su una traiettoria pericolosa, dritti verso l’aumento delle temperature medie globali di più di 3°C rispetto al periodo preindustriale, ben oltre della soglia di limite dei 2°C e più del doppio rispetto agli 1.5°C consigliati dall’Ipcc nel Rapporto Speciale di ottobre 2018.

A Madrid, i governi dovranno decidere sulle questioni ancora in sospeso per l’avvio dell’Accordo come il ruolo dei mercati del carbonio, fortemente contestati dalle organizzazioni della società civile e che hanno già ripetutamente dimostrato la propria inefficacia, o il meccanismo per la compensazione del loss and damage, ovvero di quei danni ormai inevitabili provocati dai cambiamenti climatici in corso, e destinati a non migliorare qualsiasi siano le misure di adattamento e mitigazione adottate.

La questione è particolarmente spinosa perché a subirne le conseguenze sono soprattutto i Paesi più poveri e in primis le piccole isole che già vedono larghe parti dei propri territori scomparire sott’acqua.

Altro importante tema di dibattito sarà la cosiddetta finanza Green, ovvero gli aiuti che i Paesi più industrializzati e maggiormente responsabili dei cambiamenti climatici dovrebbero fornire a quegli Stati che ne subiscono gli impatti più gravi pur avendo meno responsabilità storiche e meno mezzi per farvi fronte.

Il tema principale sul tavolo riguarderà ancora una volta le tempistiche per la revisione al rialzo degli impegni statali assunti per contrastare la crisi climatica, obiettivo per niente scontato di una Cop cominciata già sotto cattivi auspici, a partire dal ritiro del governo del Cile che ha rinunciato ad organizzare la conferenza.

A Santiago, sede prevista in origine per il summit, negli ultimi mesi le misure di repressione sempre più violente hanno cercato di soffocare nel sangue la rivolta della popolazione contro un sistema economico e politico che alimenta le disuguaglianze e comprime i diritti. Ma non è solo il Cile a preoccupare: la situazione geopolitica globale è sempre più incerta, con le destre, gli estremismi e i populismi che avanzano in più Paesi, dal Brasile agli Stati Uniti all’Europa, portando avanti una cultura di xenofobia, chiusura e individualismo, che ha come ulteriore caratteristica quella di minimizzare l’importanza della crisi climatica, nonostante sia chiaro – e la scienza non perda occasione per ribadirlo – che se falliamo oggi, non avremo altre possibilità.

In nome di una malintesa difesa degli interessi nazionali, il presidente degli Stati uniti Donald Trump si prepara dunque ad avviare la procedura formale di uscita dall’Accordo di Parigi, tirando fuori in tal modo dalla Convenzione il secondo Paese al mondo per emissioni totali oggi, che peraltro è al primo posto per responsabilità storiche dei cambiamenti climatici. Già il summit Onu sul clima tenutosi a New York nel settembrescorso aveva rappresentato in tal senso l’ennesimo fallimento, con il rifiuto da parte dei maggiori emettitori di assumere impegni ambiziosi per decarbonizzare le proprie economie.

In questo scenario preoccupante, una colorata e vivace luce di speranza proviene dall’altra comunità che occuperà Madrid nelle prossime due settimane: al di fuori dei grigi corridoi dei negoziati, una moltitudine transnazionale scenderà nelle piazze, organizzerà incontri, dibattiti, mobilitazioni e momenti di riflessione, confronterà esperienze da tutto il mondo che disegnano un modello alternativo già possibile, griderà al suono di musica e tamburi il proprio rifiuto alle logiche del capitalismo e del consumismo rivendicando valori fondamentali: difesa dei diritti umani, equità tra i popoli e tra le generazioni, diritto al futuro.

Nell’ultimo anno, i movimenti di Fridays for Future, con i quattro scioperi globali organizzati finora, e di Extinction Rebellion, hanno dato una forte scossa al dibattito pubblico portando questi temi finalmente nelle piazze e da lì nell’agenda politica: sintomo di una società civile che non si arrende alla deriva dei nostri tempi.

* A Sud