L’imprenditore della bretella. Così Giacomo Li Destri veniva chiamato. Era stato lui con la sua ditta a realizzare la bretella, lungo il perimetro del ponte sulla Palermo-Catania inagibile per il cedimento di alcuni piloni per via una frana. A “ingaggiarlo” furono i parlamentari del M5S, gli pagarono il lavoro con la quota di indennità alla quale rinunciano ogni mese. Da allora l’imprenditore non s’è più staccato dal gruppo. Ed è riuscito a conquistare un posto nella lista 5 Stelle a Palermo, sperando di entrare in Assemblea con i gradi di deputato.

Ma quel posto per Claudio Fava è «inopportuno politicamente e moralmente». Spulciando nell’ordinanza dell’operazione Black cat, Fava ha trovato agli atti, pubblici, l’informativa dei carabinieri con alcune intercettazioni che riguardano Giacomo Li Destri; non il candidato, ma suo cugino. Una parentela di primo grado per una omonimia giudicata da Fava «pericolosa». Se uno dei due è candidato, l’altro è imputato: la procura di Termini Imerese gli contesta l’associazione a delinquere di stampo mafioso nel processo Black cat. Non solo. Per gli inquirenti, Li Destri sarebbe il referente di Cosa nostra a Castelvetrano, il capomafia della famiglia Trabia. Dalle carte, rivela Fava, spuntano colloqui tra i due cugini, si parla di pizzo e della messa a posto dell’azienda dell’imprenditore incensurato. Li Destri-candidato non è indagato, anzi è considerato parte lesa e la sua azienda è nella white list della prefettura. «Siccome la macchina del fango si è già attivata, deve essere chiara una cosa: non ho più rapporti con mio cugino da quasi trent’anni per motivi familiari che chiedo a tutti di rispettare. Lui è stato coinvolto nell’inchiesta e dagli stessi atti emerge come lui stesso chieda notizie di me ad altre persone», sbotta il pentastellato che annuncia querela a Fava.

Ma dalle carte emergerebbe anche altro. I fatti dell’indagine risalgono al periodo 2013-2014. Scrivono gli inquirenti: «Li Destri stava eseguendo dei lavori sulla strada provinciale 8 che collega Caltavuturo a Valledolmo, territorio che interessava anche Polizzi Generosa. Pertanto il mafioso di Caltavuturo, Li Destri Giacomo, aveva informato il cugino imprenditore (il candidato, ndr) di recarsi da Scola Antonio Maria perché referente della zona… ma in ossequio al rispetto della competenza territoriale, lo Scola lo aveva invece indirizzato a Valledolmo da tale Mario». Dunque, secondo le intercettazioni i rapporti fra i cugini sarebbero tutt’altro che inesistenti. «Ora ho capito perché Cancelleri in campagna elettorale non ha mai parlato di Riccardo Pellegrino, candidato nella lista di Forza Italia a Catania mentre il fratello è sotto processo per associazione mafiosa», dice Fava. E attacca: «Da parte del M5S c’è una sottovalutazione del convitato di pietra della mafia». «Mi preoccupa il silenzio e considero da abatini sostenere che il tema mafia non deve fare parte dei programmi elettorali perché è una pre-condizione – insiste – Non penso siano collusi ma che siano distratti e non abbiano cognizione di causa. La mafia non è un tema letterario».

Contro Cancelleri e i 5Stelle ieri s’è scatenato l’intero arco politico. «Squadristi», «raccapriccianti», «arroganti», «meschini», «fomentatori di odio» sono alcuni degli aggettivi con cui da destra a sinistra è stato condannato il tweet di Angelo Parisi, l’ingegnere designato assessore ai rifiuti da Cancelleri, che smanettando sul proprio profilo del social network s’era rivolto a Ettore Rosato, “padre” del Rosatellum 2.0, scrivendo: «Facciamo un patto: se la Consulta casserà la tua legge, noi ti bruceremo vivo, ok?». Nonostante molti imbarazzi, il M5S ha tenuto la barra dritta. Dopo le scuse a Rosato di Parisi, che respinge l’etichetta di hater ammettendo di avere sbagliato, Cancelleri lo conferma come assessore designato archiviando il tweet «infelice». Aggettivo usato anche da Di Battista che poi usa la controffensiva: «Da destra a sinistra tutti hanno mosso i loro staff nel giorno in cui Berlusconi e Dell’Utri vengono indagati a Firenze per le stragi di mafia del ’92 e ’93». Dal tour elettorale che sta facendo in Sicilia il primo a indignarsi è proprio Rosato: «Non sono uno che si impressiona, ma la frase mi fa male: per la mia famiglia e per i miei figli, naturalmente».