Mike Gravel è il candidato più sorprendente in questa corsa per la presidenza Usa, innanzitutto perché l’ex senatore dell’Alaska ha 89 anni e poi perché non vuole vincere.

Nato in Massachusetts, Gravel ha prima fatto parte dell’esercito, si è laureato alla Columbia University di New York e a fine anni ’50 si è trasferito in Alaska, entrando in politica con il Partito democratico. Alla Camera dei rappresentanti dell’Alaska dal 1963 al 1966 per poi diventare presidente della Camera dell’Alaska ed essere eletto al Senato degli Stati uniti nel 1968.

L’ex senatore è una leggenda del movimento antimilitarista Usa: nel settembre 1969 si era unito a un gruppo segreto di membri del Congresso che pianificava un’azione radicale per porre fine alla guerra in Vietnam. il gruppo faceva resistenza in ogni modo, ad esempio aderendo alle proteste studentesche nazionali contro la guerra, così da impedire al Senato di riunirsi per la mancanza del quorum.

Nel 1970, lui e altri 13 membri del Congresso ottennero che la Federal Communications Commission obbligasse i network nazionali a concedere loro il tempo di discutere in diretta e demolire la politica di Nixon sul Vietnam, appellandosi alla (ora cancellata) Fairness Doctrine che imponeva una specie di par condicio per i temi più controversi.

In seguito Gravel si unì a un gruppo di 20 deputati in un viaggio in tutto il Paese per fare pressioni sui costituenti riluttanti a votare per il ritiro delle truppe, e personalmente l’ex senatore ha appoggiato una mese di raduni contro la guerra organizzati tra Washington e San Francisco da un gruppo etichettato come comunista.

Gravel è sempre stato consapevole del potere dei media. Ora usa quelli “sociali”, ma negli anni 70 fece ottenere un prestito privato per finanziare una campagna televisiva per la no profit Ear No More, con il fine di spingere l’opinione pubblica in una direzione antimilitarista. Come se non bastasse nel ’72 si è battuto come un leone per fare includere nei registri pubblici del Congresso i documenti del primo leak della storia americana, quello compiuto da Daniel Ellsberg e noto come Pentagone papers, riguardante le menzogne e gli omicidi di massa commessi dagli Usa nella guerra in Vietnam.
Questa è solo una parte delle battaglie di Gravel, che non è nuovo alla corsa per la Casa bianca; la prima volta è stata nel ’72, e lo ha fatto intraprendendo una insolita campagna per la nomina democratica a vice presidente, mentre nel 2008, durante la sua ultima incursione seria nella battaglia politica Usa, lo ha fatto accusando tutti gli altri candidati democratici di essere troppo vicini alla lobby militar-industriale.

Gravel era, ed è, una persona seria. Così quando due teenager di New York, David Oks e Henry Williams, tramite il podcast socialista Chapo Trap House hanno conosciuto le sue battaglie e lo hanno contattato per chiedergli di candidarsi come presidente, lui ha voluto capire le loro intenzioni. E ha chiarito le sue: «Ho risposto subito “ma avete idea di quanti anni ho?” e ho messo in chiaro di non avere alcuna intenzione di fare né il presidente né una campagna elettorale, però ho voluto ascoltare qual era la loro idea. L’obiettivo non è quello di vincere, mi hanno detto, ma di portare sul palcoscenico del dibattito democratico una critica dell’imperialismo americano». A questo punto l’ex senatore era più che incuriosito dall’impegno ad amplificare i suoi obiettivi politici di lunga data, Modalità e prassi di questa mossa sono state affidate al gruppo di teenager che avevano già formato un comitato esplorativo, con la presentazione di una dichiarazione di organizzazione presso la Commissione elettorale federale.

Così si è incontrato con i ragazzi e il 2 aprile 2019 ha presentato ufficialmente la sua candidatura.

«Ho accettato di essere usato come un megafono per far parlare nuovamente delle lotte in cui questi ragazzi credono e che sono quelle per cui combatto da una vita: l’anti militarismo, l’anti imperialismo, la giustizia economico-sociale, l’ambiente. Dall’inizio ho messo in chiaro che non avrei fatto alcun comizio ma sarei stato disponibile per le interviste e ho affidato a loro la gestione di tutti i miei account social media».

Lei si ritiene socialista,in questo periodo in cui gli Usa sembrano aver scoperto o riscoperto il socialismo?

Io sono un socialista democratico e questo è un distinguo importante, perché esistono due tipi di socialismo, quello dei repubblicani e quello dei democratici, io sono un socialista democratico. I repubblicani per “socialismo” intendono un sistema in cui il governo controlla i mezzi di produzione, questo è ciò che vogliono, controllare i mezzi di produzione per redistribuire i profitti all’1%. Ed è esattamente ciò che vuole Trump: il socialismo per le corporation e i ricchi. I repubblicani vogliono il socialismo per i ricchi e un capitalismo per i poveri e la classe media, per questo io specifico di essere un socialista democratico che crede in una versione diversa di socialismo e non quella dei 21 miliardi di dollari salvati lo scorso anno dalle maggiori banche statunitensi grazie ai tagli delle tasse della riforma fiscale di Trump».

 

Bernie Sanders con Elizabeth Warren al termine dell’ultimo dibattito tv tra i candidati democratici (Afp)

 

Ma in questa corsa per la presidenza che lei non vuole vincere, chi supporta?

«Sostengo Bernie Sanders, ovviamente, e ho una grande stima per la senatrice Elizabeth Warren che è molto in gamba, il solo problema con lei è che è della stessa generazione di Bernie, mentre abbiamo bisogno di giovani, di gente nuova. Un candidato che sostengo moltissimo è Tulsi Gabbard».

Beh, questo è inaspettato (Tulsi Gabbard, hawaiana, ex militare, nonostante sia nel Partito Democratico è considerata più di destra che di sinistra)…

«Tulsi Gabbard, secondo me, è tra tutti la candidata ideale per diventare presidente. Ha sei anni di esperienza nel Comitato per le relazioni estere, nel Comitato per i servizi armati. Ha fatto due turni di servizio in Iraq, ha avuto il coraggio di affrontare Barack Obama sulla questione militare. E ha meno di 40 anni. Bernie dovrebbe seriamente valutare l’idea di avere lei come sua vice, sarebbe un ottimo ticket, come lo sarebbe anche a ruoli inversi, Gabbard presidente e Bernie come vice: lui ha una grande competenza e un gran programma di politica interna. Lui stesso ha ammesso di essere debole sulla politica estera, lei, invece sa di cosa si parla».

 

Tulsi Gabbard (Afp)

 

Sembra lei abbia molta attenzione per le nuove generazioni.

«Questa nuova generazione è speciale. I ragazzi che seguono la mia campagna li sento tutti i giorni, sono incredibilmente motivati, determinati a fare la differenza. Mi chiamano tutti i giorni, secondo me anche per assicurarsi che io non sia morto (ride, ndr). Questa non è la mia campagna individuale, ma una campagna per far conoscere come affronteremmo e risolveremmo molti problemi che affliggono la società e che stanno a cuore a questa generazione. Sono stati i ragazzi a cercarmi, sono contento ma queste interviste mi stanno distogliendo dal finire il libro che sto scrivendo. Mi ci sono voluti quasi 30 anni per venirne a capo e riguarda il modo in cui si può attuare la vera democrazia, cioè dando al popolo il potere legislativo tramite la democrazia diretta».

Lei dice cose che nessun politico Usa dice, parla di «arroganza imperialista americana», di libertà per i palestinesi, e sulla Cina la pensa in modo opposto praticamente a chiunque.

«Dobbiamo ammettere che non c’è nessuno nella Storia che abbia fatto ciò che la Cina ha fatto, spostare 500 milioni di persone dalla povertà alla classe media, creando più libertà personale di qualsiasi altra cosa nella storia umana».

È così che si potrà attuare la dittatura del proletariato?

«Non amo quel termine, se c’è democrazia non può esserci dittatura no? Qualcosa di simile a ciò che intendo io la fanno in Svizzera. Il mio libro uscirà a settembre, Sarà un testo complesso che bisognerà leggere più volte. Ne potremo riparlare».