Il turbine mondano del festival di Cannes l’anno scorso ha registrato un evento anomalo, un ricevimento sullo yacht dei coniugi Rebekah e Robert Mercer, i finanzieri occulti ed ossessivamente segreti dell’ascesa trumpista, sponsor della campagna Trump a suon di milioni nonché azionisti del sito di ultradestra Breitbart News. Non senza qualche coincidenza a bordo c’era anche l’allora direttore del sito, Steve Bannon assieme a David Bossie, direttore della lobby ultraconservatrice Citizens United. Entrambi di lì a poco entrati ufficialmente nel direttorio della campagna Trump.
Un gruppo paracadutato nella «gomorra» del cinema internazionale per promuovereClinton Cash, l’ultimo prodotto di propaganda anticilintoniana confezionato da Bannon e Bossie in vista delle fasi conclusive della campagna elettorale. Ma con loro c’era anche un individuo ancora più apparentemente fuori luogo fra le (tanto odiate) élites culturali della Riviera: Phil Roberston, un allampananto signore sulla settantina, con una fluente chioma grigia perennemente cinta di bandana e una barba bianca da profeta protagonista di Torchbearerdestinato probabilmente ad essere l’ultimo film di Bannon, almeno fin quando perdurerà la sua mansion ufficiale di «stratega» di Trump.

LA FAMA

Robertson ha raggiunto fama nazionale e mondiale nelle vesti del patriarca di Duck Dynasty, la serie reality della A&E in onda dal 2012 (l’episodio comclusivo è andato in onda questa settimana), che segue la vita sua della famiglia, la moglie il fratello, tre figli, rispettive consorti e una mezza dozzina di nipoti nel paese natale di East Monroe, Louisiana. Titolari di identiche barbone da Hell’s Angel, i maschi del clan si dedicano alla gestione dell’azienda di famiglia (una fabbrica di richiami da caccia per anatra) e alle attività quotidiane che di solito implicano indumenti mimetici, pickup truck, armi da fuoco, birre e barbecue in quantità industriale. Al di la dell’inedita ambientazione, lo show inanella vacue situazioni da sitcom: piccole crisi e tediose ricorrenze quotidiane che sono la sintassi dei reality familiari, condite in questo caso dalla casareccia saggezza e dalla pietà religiosa elargita dal caparbio patriarca del clan che conduce le preghiere prima di cena e fa battesimi nel fiume.

ETICA ED ESTETICA

Dopo l’elezione di Trump infuria in ambienti progressisti americani il dibattito su come rapportarsi ai segmenti esautorati che hanno espresso il proprio rancore col voto populista. Chi ha viaggiato nell’America «profonda» (l’Appalachia, la rust belt e la sterminata provincia fra le due coste) sa però che non basta la rottamazione globalista a spiegare il fenomeno. L’isolamento, il qualunquismo e l’oscurantismo autoctono dell’hinterland hanno determinato la forma della «rivolta». Programmi comeDuck Dynasty hanno sdoganato al grande pubblico l’etica e l’estetica redneck (tipologia antropologica dai colli etimologicamente arrossati dal lavoro manuale eseguito all’aperto). I pregiudizi e il razzismo proprio della categoria sono stati sottilmente riabilitati come «anti-elitismo» identitario e i bigotti rurali del sudsono stati trasformati in villici rudi ma schietti, guardiani di un «americanità originale»; l’operazione poi rilanciata su scala elettorale dalla campagna trumpista.

LE MACERIE DELL’IMPERO

Non è stata quindi affatto casuale la decisione di Bannon di scegliere Robertson, che nel programma conduce le preghiere del clan e che ha pubblicamente dichiarato di considerare l’omosessualità un peccato «equivalente alla bestialità», come Virgilio di Torchbearer, un film mirato a mobilitare la base teocon a favore del candidato repubblicano. Il film apre con un lungo piano sequenza di Duck Commander (il nome d’arte di Robertson) che solca le paludi con la sua barca prima di approdare su un banco di mangrovie. Impugnando i pesci pescati come San Pietro, guarda in macchina e sentenzia: «Prima di tutto dio!» Formulato il concetto, Bannon trasporta Duck Commander negli agorà topici della civiltà occidentale onde meglio illustrare i fondamenti dell’eccezionalismo americano sulle macerie degli imperi decaduti.
Davanti al Partenone, il bifolco del Delta enumera i grandi filosofi con marcato accento sudista poi indica la colonna corinzia stramazzata in pezzi: «Ecco ciò che resta di Zeus!» Archiviata la pratica ellenica, il profeta redneck riappare dinnanzi al colosseo. «Se Atene era Harvard, Roma era New York», spiega con esegesi adatta al suo pubblico. Ma anche Roma, pagana e scellerata, spiega Robertson a mo’ di Mosè del Mississippi, abbandona presto la virtù a favore dei supplizi di cristiani nell’arena. Vile attacco alla religione che finirà male per gli stolti Capitolini, destinati, spiega Robertson, alla decadenza politica che tocca a tutti coloro che rivolgono le spalle a dio.

ORDINE MORALE

La Roma hollywoodiana da Trono di Spade e la narrazione manichea intende ricondurre un mondo globalizzato e postmoderno ad un ordine morale da cinegiornale, dove l’America è forza di bene che combatte le forze planetarie del male. Bannon ripropone l’ipersemplificazione reaganiana in una versione ancora più risibilmente ridotta, ma più ancora del messaggio l’operazione è iconografica: situare il burino virtuoso, con la sua tenuta mimetica da caccia all’anatra, nelle località topiche della civiltà è una provocazione subliminale atta a ricavare anti elitismo e la ritrovata «fierezza dell’ignoranza» emersa come una delle correnti fondamentali del populismo trumpista.

Intanto nel suo excursus da bignami di storia universale il barbuto è attraccato coi pellegirni a Plymouth Rock. Nella canonica agiografia del Commander i primi profughi fanaticamente religiosi sponsorizzati dalle compagnie mercantili di Londra, diventano ovviamente «yeomen», i coloni diligenti e virtuosi idealizzati da Jefferson, abili a dare di accetta sulla baita di tronchi, caricare il moschetto e rendere grazie attorno al tavolo della cena.

Una narrazione che porta subito alla «shining city on the hill» evocata da Ronald Reagan, il primo presidente moderno ad attingere alla metafora biblica per mobilitare la religiosità letterale e retrograda, diffusa specialmente nel sud ex-confederato, come efficace forza reazionaria. I teocon nascono come componente fondamentale della Reagan coalition e Steve Bannon ne ha intuito appieno l’importanza riproponendo gli evangelici come improbabile base politica per il narcisista libertino Trump. Torchbearer è quindi un film prodotto per attivare il fondamentalismo religioso diffidente e anti intellettuale proprio del bible belt e Duck Commander viene al dunque: mentre i vagiti di grandezza della novella nazione prediletta si realizzano con la rivoluzione americana – innovativa ma timorosa di dio – i cugini francesi imboccano la strada della superbia e della perdizione. L’illuminismo del 1798 laico – seme dell’attuale relativismo morale -li porterà diritti al terrore di Robespierre spiega il barbuto professore che irride la dichiarazione dei diritti dell’uomo degli illuministi parigini, rea di aver tralasciato il lume divino dagli affari dell’uomo.

PRESUNZIONE ATEA

È il filo conduttore che avrebbe successivamente guidato molte iniziative del governo Trump: il «culto della ragione» come «presunzione atea» è specialmente caro a Mike Pence, il vicepresidente teocon la cui nomina rappresenta il prezzo estratto a Trump in cambio del sostegno degli evangelici. Da Socrate a Darwin, dichiara Commander, la fatale supponenza di escludere il divino conduce prima o poi ad Auschwitz (ed eventualmente al New York Times). Dal monologo sui massimi sistemi, anzi sul sistema unico, di Bannon, emerge ribadito il concetto della scienza come ideologia, la ragione come partito d’opposizione alla verità religiosa e quindi perdente. È un oscurantismo profondamente radicato nell’animo nazionale che con il cortocircuito trumpista ha subíto una vertiginosa accelerazione. Una dottrina che fino a pochi mesi fa sarebbe stata relegata a trasmissioni notturne di radio di destra – oggi emana dalla Casa Bianca, articolata dell’uomo che sussurra all’orecchio del presidente.

GLI AFFARI

Ma Bannon, prima di trovare la vocazione di ideologo dell’antiglobalismo revanscista a fianco di Trump ha fatto una fortuna favolosa come affarista, produttore a Hollywood e operatore della Goldman Sachs (oltreché direttore di Breitbart News.) Il suo disprezzo per i cosmopoliti agnostici delle città e delle università è dunque altamente sospetto e strumentale alla manipolazione di un serpeggiante fanatismo che il trumpismo ha fomentato con l’idea di un America, e di un occidente in inesorabile declino culturale, corroso dall’«umanesimo laico». Duck Commander è portatore ideale di questo messaggio intriso di fede, suprematismo e volitiva ignoranza, che intende riportare indietro l’orologio americano di 50 anni, prima dei diritti civili, prima del femminismo e dell’ambientalismo – prima possibilmente, della modernità.

Per illustrare i soprusi della laicità Bannon usa lo «Scopes trial», il processo del 1925 che fu necessario per poter insegnare la teoria dall’evoluzione nelle scuole pubbliche del Tennessee, soggetto del famoso film di Stanley Kramer con Spencer Tracy. Ma in Torchbearer l’eroe è William Jennings Bryan, il pubblico ministero che argomentava a favore del creazionismo. Una revisione della storia degna del ministero della verità che gestisce la propaganda dell’Oceania di Orwell. Oggi la manipolazione della realtà post-fattuale si chiama perception management, la gestione della percezione in cui si specializza Bannon e notoriamente Sean Spicer il portavoce della Casa Bianca. Come accade nel governo «populista», composto eclusivamente da milardari, neanche il narratore di Torchbearer è veramente il timoroso hillbilly che impersona; in realtà Robertson ha un master della Louisiana University e un congruo patrimonio derivato dall’azienda e ora dai diritti del proprio programma televisivo.

Nel suo film, dopo essere passato dalla ghigliottina alle camere a gas ai gulag di Stalin, Duck Commander sobrio ne tira le somme: «se si sottrae dio dall’equazione si apre la porta alla tirannide» un’affermazione che alla luce degli ultimi due mesi non può che essere presa con amara ironia (se non fosse un registro pressoché sconosciuto fra il pubblico dell’ hinterland a cui è mirata la sua geremiade). È tutto per loro invece il montaggio apocalittico finale che Commander lancia da piazza San Pietro: i delitti raccapriccianti di Isis (odierni Hitler che sfidano l’America) si mescolano a riprese di cliniche abortiste, ché i consultori ginecologici sono un culto di morte altrettanto grave. «I nostri padri fondatori che con infinita lungimiranza si sono affidati all’onnipotente sapranno guidare ancora la mano degli Stati Uniti»…Ma malgrado l’elogio della illuminata saggezza dei padri della patria, è lo zelo dei pellegrini che è veramente riverito.

Uno zelo congenito di un paese fondato sul fanatismo e la violenza, «portatore sano» quindi di una miscela ideologica più combustibile anche dei nazionalismi europei, mediati comunque da un conservatorismo Borghese. Scaraventata all’indietro, preda dei propri fantasmi più arcigni ed illiberali l’America di Trump è ora la principale fonte di incertezza mondiale. Neanche Bannon comunque avrebbe potuto immaginare su quello yacht a Cannes che sei mesi dopo la sua propaganda avrebbe trionfato e l’antico conflitto fra illuminismo e integralismo che definisce l’esperimento americano, avrebbe così radicalmente sterzato a favore di quest’ultimo.