La Norvegia, principale fornitore di gas in Europa dopo la Russia, ha accettato di aumentare le esportazioni di 2 miliardi di metri cubi per alleviare la carenza di energia del Vecchio continente. E il primo ministro Jonas Gahr Støre ha sostenuto che i futuri investimenti nel petrolio e nel gas saranno fondamentali per sostenere la transizione verso le rinnovabili.

Al tempo stesso, fa sapere l’analisi scritta da una ricercatrice indiana e pubblicata su Foreign Policy, Norvegia e altri paesi nordici e baltici hanno fatto pressione sulla Banca Mondiale affinché ponga fine a tutti i finanziamenti di progetti di gas naturale in Africa e altrove a partire dal 2025, e punti invece su soluzioni come l’idrogeno verde e le micro reti intelligenti. Ma è possibile una simile svolta energetica, in tempi così rapidi? No, secondo l’analisi. Intanto l’idrogeno verde è una tecnologia complessa e costosa. E dovunque, anche qualora si accelerasse nel settore eolico e solare, la produzione di elettricità dai fossili sarebbe ancora necessaria per bilanciare queste fonti, dipendenti dalle condizioni atmosferiche.

I paesi del Sud e i poveri del mondo subiscono gli impatti climatici più tragici, e al tempo stesso più di 1 miliardo di persone in 48 paesi dell’Africa sub-sahariana sono responsabili di meno dell’1% delle emissioni globali cumulative di anidride carbonica. Anche se triplicassero la generazione di energia ricorrendo solo al gas naturale, le emissioni globali aumenterebbero di un mero 1 per cento.

Dunque, sostiene l’analisi, i paesi ricchi dovrebbero agevolare progetti di gas naturale (l’Africa ha importanti giacimenti off shore) ancora per i prossimi due decenni in modo che i paesi poveri escano dalla povertà e riescano a costruire le infrastrutture energetiche critiche necessarie allo sviluppo economico e al miglioramento degli standard di vita – compresa l’elettricità per case, scuole e fabbriche. E oltre a ciò, i combustibili fossili sono ancora critici per lo sviluppo dell’Africa. La costruzione di strade ed edifici è ad alta intensità energetica, così come – ad esempio – la produzione di molti materiali. Alternative a basso costo e a basse emissioni di carbonio non sono ancora disponibili.

Pensiamo poi alla cottura dei cibi nelle case povere. Circa 3,8 milioni di persone muoiono prematuramente ogni anno per l’inquinamento dell’aria indoor. Quasi tutti i decessi si verificano tra i 2,6 miliardi di persone nei paesi poveri che ancora bruciano legna, carbone, carbonella o sterco di animali in casa per cucinare. Il fumo tossico penetra in profondità nei polmoni.

L’Onu ritiene che il passaggio al gas da cucina in bombola salvi tante vite nelle case dei poveri. I paesi del Nord, esigenti verso il Sud, sono invece molto pazienti a casa propria. Joe Biden ha chiesto ai principali fornitori di energia di aumentare la produzione per soddisfare la domanda di petrolio degli Stati Uniti. E la Germania ha stabilito una tempistica di quasi 20 anni per uscire dal carbone.