Dunque, siamo ormai al quarto incontro “costituente” tra Renzi e Berlusconi. Il primo, che ha dato vita al patto del Nazareno, si è svolto il 18 gennaio di quest’anno nella sede del Pd.

Si è trattato di un accordo tra due soggetti, leader del primo e del terzo partito, che non erano parlamentari né avevano all’epoca incarichi di governo e quindi di natura extraistituzionale. Che FI non abbia dato nessun mandato al proprio presidente è normale, visto che in quel partito, per dirla con Brunetta (intervista a Repubblica del 30 giugno 2014), “la nostra democrazia si riassume in Silvio Berlusconi”. Che il Pd l’abbia fatto, lasciando carta bianca al suo segretario, è invece del tutto anomalo per un partito “democratico”. Successivamente Renzi ha fatto ratificare l’accordo dalla direzione del partito, preparando il terreno alla sostituzione del presidente del Consiglio in carica al quale aveva più volte giurato e spergiurato fiducia.

Nessuna alchimia politica poteva giustificare la stipula di un accordo costituzionale da parte di Renzi con due politici, Berlusconi e Verdini, l’uno condannato in via definita a quattro anni di reclusione e due anni di interdizione dai pubblici uffici e successivamente dichiarato decaduto dalla carica di senatore, l’altro recentemente rinviato a giudizio per vari reati, tra i quali associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato. La giustificazione è stata trovata nei milioni di voti ottenuti da Berlusconi. Ma, a parte il fatto che i voti del Pdl nel 2013 si sono quasi dimezzati rispetto a quelli del 2008 e che la forza parlamentare di FI, dopo la scissione del Ncd, non è più decisiva, il problema è che l’accordo ha avuto natura privilegiata, e anzi esclusiva, tagliando fuori tutti gli altri partiti di opposizione e anche di governo. Altro che ricerca delle mediazioni più ampie e apertura alla discussione, come le riforme in materia costituzionale richiederebbero! Successivamente il governo Renzi ha tradotto in disegni di legge i presunti contenuti del patto e in particolare, per quello relativo al nuovo sistema elettorale, ha imposto alla Camera in modo draconiano il rispetto del testo presentato, facendo respingere anche gli emendamenti relativi alla parità di genere.

Oggi di nuovo, per proporre modifiche parlamentari alla legge elettorale, Renzi chiede il preventivo assenso di Berlusconi. Di più: autorevoli quotidiani rivelano che vi sarebbe già un Protocollo, sottoscritto dall’immancabile Verdini e da Lotti, sottosegretario a Palazzo Chigi, che già stabilirebbe il contenuto delle modifiche. Se così fosse, la tanto sbandierata apertura della discussione a tutti significherebbe che gli altri partiti o accettano le proposte di R&B o sono tagliati fuori. Ma il metodo proposto oltre ad essere anomalo e tutt’altro che democratico, rappresenta un autentico modello di scambio tra le convenienze dei due leader: da un lato il maggioritario di coalizione al secondo turno, caro a Renzi per garantire che “la sera stessa del voto si conosca il Governo per cinque anni”, obiettivo che non viene garantito in nessuna democrazia di natura parlamentare, dall’altro premio di maggioranza possibile già al primo turno, soglie di sbarramento spropositate per chi non si coalizza e liste bloccate, volute da Berlusconi per ricostruire coattivamente una coalizione di centro-destra sotto la sua guida e garantirsi l’elezione di un gruppo di fedelissimi da lui scelti. E a ciò si aggiunge poi lo scambio tra Italicum, assai caro al leader forzista, e disponibilità di FI a votare la legge di revisione costituzionale.

Ce ne sarebbe abbastanza per considerare il patto (e i suoi derivati) indecente per chi abbia un minimo senso di etica della politica. Ma non è finita qui. Nessuno, al di fuori dei partecipanti all’incontro, conosce il reale contenuto del patto del Nazareno. E neppure è certo che vi sia un testo scritto. In Repubblica del 4 agosto si può leggere in seconda pagina nell’intervista a Renzi che esiste un patto scritto i cui contenuti corrispondono a quelli indicati negli atti parlamentari, ma nella pagina immediatamente successiva viene riportata tra virgolette una dichiarazione di Berlusconi del seguente tenore: “ Non siamo così sprovveduti da averlo messo per iscritto, tra persone serie basta la parola data”. Allora chi dei due mente? Certo, Berlusconi non è nuovo a dire bugie, ma l’ipotesi più probabile è che un patto scritto e sottoscritto non vi sia, mentre è possibile che qualche amanuense abbia preso appunti, e che l’accordo relativo alla riforma costituzionale sia molto generico e lacunoso. Ciò spiega come mai il testo del patto non è stato diffuso come dovrebbe essere naturale in democrazia visto il rilievo politico-costituzionale che gli è stato dato: semplicemente perché quel testo non esiste. Ma tutto ciò è significativo di un metodo politicante e opaco, che stabilisce accordi in forma orale in modo da dare la possibilità a uno dei contraenti di tirarsi fuori quando vuole e che lascia fuori dalla porta i cittadini. Del resto quel metodo è perfettamente coerente con l’idea che il popolo si deve limitare ad attribuire il potere ad una coalizione/partito e al suo leader, ma per il resto meno partecipa meglio è. E così non deve più eleggere gli organi degli enti intermedi tra Regioni e Comuni, non deve eleggere il Senato, non deve avere libertà di scelta dei deputati. E nella stessa direzione va la previsione dell’innalzamento del numero delle firme per la richiesta di referendum e la presentazione di un disegno di legge di iniziativa popolare, inserita nel testo in discussione al Senato. Quanto al referendum “promesso” da Renzi e Boschi sulla “riforma” costituzionale, non è certo una gentile “concessione di Sua Maestà”. È l’art. 138 della Costituzione che lo permette quando la seconda delibera di una delle Camere sia inferiore ai due terzi dei componenti. E i nostri governanti sanno benissimo che difficilmente quella maggioranza verrà raggiunta al Senato.

Non resta che prendere atto che il patto del Nazareno non è un fatto politico isolato, ma è espressione di una concezione e di un metodo di governo che ha caratterizzato l’ultimo ventennio ed è stato fatto proprio dall’attuale presidente del Consiglio.