Tra le stellette della stampa internazionale raccolte sul daily di «Ciak» il più votato dei film italiani in concorso è quello di Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio, va detto che mancano diversi autorevoli giornali, «Libération» e «Le Monde» per fare un esempio a favore di testate americane un po’ più industry vedi «Screen International» o «Hollywood Reporter», cosa che d’altra parte conferma il futuro americano del film (di cui si dice anche sarà nel palmarès).
Intanto mentre arrivano i primi premi delle altre sezioni, Sic e Giornate degli autori, e si insegue la notizia del Leone – verrà svelato oggi nella serata di chiusura che vedrà nel ruolo di madrina come l’opening Serena Rossi – il concorso si è chiuso con il film di Stéphane Brizé Un autre monde, in cui il regista francese – che cinque anni fa aveva portato in competizione Une vie – prosegue la sua ricerca intorno al ruolo di un uomo nel sistema. «I miei film hanno sempre raccontato storie personali nelle quali non mi soffermavo sul contesto sociale dei personaggi. A un certo punto ho sentito la necessità di dare voce al meccanismo di dominio che regola i rapporti nel nostro tempo» ha dichiarato nella conferenza stampa del film.

È DA QUI che ha dunque origine la sua trilogia del lavoro – iniziata con La legge del mercato (La loi du marché, 2015), proseguita con In guerra (En guerre, 2018) e ora conclusa da Un autre monde, nel quale ritroviamo per il ruolo del protagonista Vincente Lindon – premiato a Cannes per la migliore interpretazione maschile proprio con La legge del mercato.

SE PERÒ nel precedente In guerra era un sindacalista in lotta contro il licenziamento di massa degli operai di una fabbrica imposto dalle strategie del capitalismo globale, stavolta prova a opporsi a questa stessa logica ma come dirigente responsabile di un’azienda controllata da una multinazionale americana. Chiedono tagli, risparmi sul personale con la minaccia della delocalizzazione che significano turni massacranti malessere dei lavoratori, un’inevitabile perdita della qualità lavorativa e produttiva. Gli operai lo contestano, il suo direttore di produzione si oppone, lui stesso che pure ha attuato altre «ristrutturazioni» non è disposto a cedere.

Così insieme a un altro dirigente, unici tra tutte le industrie del gruppo in Francia, fanno una controproposta: perché non tagliare per un anno i loro benefici e premi di produzione invece del personale? Il risparmio sarebbe lo stesso ma è ovvio che non può funzionare perché come spiega su zoom il capo americano – in uno dei momenti più riusciti del film – non è il risparmio in sé che gli interessa che ma una ridefinizione del mercato come entità astratta («Il mio capo è Wall Street, dice») – e vera fino a un certo punto – in cui i numeri non hanno un riferimento umano, emozionale, sentimentale.

L’errore di Philippe è seguire il cuore, forse perché negli stessi giorni è la sua vita a essersi attorcigliata, il divorzio dalla moglie (Sandrine Kiberlain), il figlio studente alla Business School destinato probabilmente a seguire le sue orme che va fuori di testa. Rispetto agli altri film, lo spostamento (o spaesamento?) del punto di osservazione – dal sindacalista al dirigente – fa funzionare la narrazione molto meno.

E NON PERCHÉ ci devono essere «i buoni» con cui schierarci e i «cattivi» da criticare, anzi il contrario. Il personaggio di Lindon – che è sempre un attore molto intenso persino in un film come Titane, la Palma d’oro di Cannes, ha un effetto calamita – sarebbe stato più interessante se messo in scena tra contraddizioni e senza il «riscatto», un po’ fantascientifico persino nell’utopia del cinema – intrecciato (o motivato) al «privato», la fragilità di una crisi familiare e la scoperta dei veri valori, stare insieme alla famiglia appunto visto che nelle prime discussioni di divorzio una delle ragioni di maggiore offesa alla moglie era averla costretta a passare dei fine settimana senza di lui. Brizé manca la tensione necessaria quando si filma «il capitalismo», e perde l’efficacia di alcuni passaggi resi con precisione cinematografica nel caos emotivo di uomo in bilico tra famiglia e professione (e ovvia crisi di coscienza) molto meno interessante.