Un anno fa a Staten Island, New York, Eric Garner, afroamericano di 43 anni, veniva soffocato a morte dal poliziotto Daniel Pantaleo; la vittima era disarmata e la sua morte è stata ripresa con un telefonino e postata su YouTube, facendo il giro del mondo.

Le sue ultime parole, I can’t breath, non posso respirare, sono diventate lo slogan simbolo del movimento «Black Lives Matter» per i diritti degli afroamericani. La morte di Garner ha preceduto di tre settimane quella del diciottenne Mike Brown, a Ferguson Missouri, anche lui afro americano, anche lui disarmato. Questi due eventi hanno finito per concentrare la coscienza collettiva americana sul problema della violenza istituzionale nei confronti dei cittadini afroamericani. Si sono susseguite manifestazioni, marce, articoli sui giornali e molte cose son cambiate, in un anno.

La consapevolezza

Gli americani hanno preso consapevolezza che avere un presidente nero, non pare rendere il paese meno pericoloso per la popolazione di origine africana. È sufficiente esser nero per essere esposto al rischio di essere ucciso dalla polizia, e se questo fino all’anno scorso, per la maggior parte dei cittadini, era un dato di fatto con cui convivere, ora è uno dei nodi centrali del dibattito e non è poco e ha generato non solo marce e veglie ma anche nuove leggi e progressi tangibili.

Il sito protesteprogress.org aggiorna su i passi avanti in termini legali ed istituzionali a livello tanto federale quanto locale; si tratta di miglioramenti che hanno il passo della quotidianità, non una rivoluzione repentina ma un cambiamento di rotta necessario per raggiungere un livello etico minimo.

Il risarcimento che non basta

Pochi giorni fa la famiglia di Garner ha ricevuto dalla città di New York un risarcimento di 5.9 milioni di dollari per la morte di Eric, ma non basta a sanare la ferita di una giustizia mancata.

Pantaleo non solo ha ancora il proprio posto di lavoro, ma non ha avuto, né avrà, un processo per omicidio.

La famiglia Garner ha dichiarato che il patteggiamento non mette la parola fine alla vicenda e che continueranno a chiedere giustizia, anche in nome delle altre vittime della brutalità poliziesca.

Come diretta conseguenza del patteggiamento, la settimana scorsa il governatore Andrew Cuomo, grazie alla spinta dei familiari delle vittime e dei movimenti per i diritti civili, con un ordine esecutivo ha nominato un procuratore speciale per indagare le morti connesse alla polizia, precisamente per i casi che vedono un poliziotto uccidere un civile disarmato.

«Un sistema di giustizia penale non funziona senza fiducia – ha dichiarato Cuomo – Saremo il primo stato del paese a riconoscere il problema nominando un procuratore indipendente senza alcun tipo di collegamento con i dipartimenti di polizia organizzata».

Il discorso è semplice: un procuratore che collabora con il corpo di polizia si trova in un conflitto di interessi quando deve giudicare un poliziotto. Nominare un procuratore avulso da questa dinamica potrebbe essere parte della soluzione.

Il discorso si è allargato, seguendo una corrente portata avanti dal pastore protestante gramsciano, reverendo Osagyefo Sekou , che parla della doppia maglia che lega il problema della discriminazione razziale a quello insito nel concetto di capitalismo, che uniti generano ghetti, violenza e un loop difficile da interrompere se si affrontano i due aspetti separatamente.

La svolta di De Blasio

Questo ragionamento sembra aver suggerito un altro provvedimento preso dal sindaco di New York, De Blasio, che ha presentato un piano per ridurre gradualmente la popolazione carceraria rinchiusa in attesa di processo per reati non violenti e che non può permettersi di pagare una cauzione; anche in questo caso i soggetti coinvolti sono per lo più afro americani o ispanici.
Il caso che ha portato questo provvedimento all’attenzione collettiva è stato quello di Kalief Browder, afroamericano, la cui famiglia non poteva permettersi di pagare una cauzione di 3.000 dollari, per un’accusa di rapina rivelatasi infondata. Browder è stato rinchiuso nella prigione di Rikers Island per tre anni, passando attraverso ogni tipo di abuso. È uscito in preda ad una depressione tale che l’ha condotto al suicidio. «Il sistema basato sulla cauzione è sbagliato – ha dichiarato De Blasio – si è detenuti in base alla dimensione del conto bancario e non in base al pericolo reale che si rappresenta».

Questa nuova legge triplicherà il numero di persone che invece di invece di essere sanzionate con la cauzione o essere detenute in carcere in attesa di giudizio, potranno stare sotto controllo anche rimanendo a casa con le proprie famiglie e continuando a lavorare. Così si evitano vite spezzate e costi pubblici per il mantenimento dei detenuti. Durante questo fine settimana a New York sono previste diverse iniziative per continuare a parlare di «Black Lives Matter», dalla marcia a Columbus Circle alla manifestazione ad Harlem a quella a Staten Island, perché è vero che qualcosa si sta muovendo ma non basta. Se è vero che Pantaleo non è comparso di fronte a un giudice, i poliziotti che hanno ucciso Freddie Gray (Baltimora, Maryland), Akai Gurley (Brooklyn, New York) e Walter Scott (Charleston, South Carolina) stanno invece affrontando un processo per omicidio, ma tanti e troppi altri sono ancora a piede libero e tale resteranno.

L’ultimo caso in ordine temporale è quello di Sandra Bland, 28 anni anni, afro americana, laureata, difensore dei diritti civili, fermata in Texas per un’infrazione compiuta alla guida, arrestata per resistenza a pubblico ufficiale e condotta disordinata, è stata trovata morta in carcere due giorni dopo, la polizia dice per suicidio.

L’ultimo caso

Amici, parenti e molti media non credono a questa versione che è ormai la solita (anche Freddie Gray si diceva si fosse ucciso da solo, inizialmente). «Basta farci imparare ogni giorno nuovi nomi» chiedeva un cartello portato dagli attivisti durante una delle manifestazioni ed è questa la sensazione diffusa: essere di fronte a un enorme bacino di ingiustizia che per essere contenuto richiede lo sforzo di tutti ed uno sforzo costante. Nella prima delle manifestazioni per Eric Garner c’era anche il reverendo Sharpton, consigliere della famiglia Garner come di Obama, figura pubblica e controversa per le modalità nel portare avanti la «causa».

Sharpton è forse il volto più noto di questo movimento ancora una volta leaderless (ma forse la ricerca del leader dovrebbe essere abbandonata da chi osserva e racconta i movimenti contemporanei) che per forza di cose si sposta di città in città seguendo la scia degli eventi sanguinosi della comunità afro americana, ma nei cortei si parla anche di Obama. «Proteste ci son sempre state – dice Jenna, avvocato della Aclu – il fatto che finalmente si stiano ottenendo dei risultati è grazie anche al fatto che per la prima volta un presidente è afro americano. Che ci piaccia o meno è una figura anche simbolica. Non ci sarebbero stati cambiamenti con una presidenza repubblicana e probabilmente molti meno con un presidente bianco».