Il 4 agosto 2022, un paio di mesi prima delle elezioni, Amnesty International Italia aveva chiesto «passi avanti» sui diritti umani. Ieri, presentando il bilancio in 10 punti delle politiche del governo di Giorgia Meloni, alla vigilia dell’anniversario del suo insediamento, la richiesta non può che essere drammaticamente sempre la stessa. Tra i tanti temi passati al vaglio dell’organizzazione – salute, lavoro, sicurezza sociale, alloggio, cittadinanza, libertà di riunione, diritti dei detenuti e tortura, protezione dei migranti, ecc. – la ricercatrice Ilaria Masinara, responsabile campagne di Amnesty Italia, ha fatto il punto sui diritti delle donne e le discriminazioni verso la comunità Lgbtqi+ e i disabili.

Avete usato l’emoticon della delusione per riassumere il vostro giudizio su questo tipo di politiche. Dopo un anno di governo Meloni, siamo fermi o c’è una regressione?

Purtroppo è un bilancio in negativo. C’è un macigno che pesa anche in questa legislatura: la mancata approvazione di una normativa di contrasto alla violenza e alla discriminazione basata sul sesso, sul genere e l’orientamento sessuale. Siamo indietro anche nel miglioramento dei meccanismi di raccolta dei dati relativi ai discorsi e ai crimini d’odio che vanno a stigmatizzare la comunità Lgbtqi+. Sui diritti delle coppie omogenitoriali, abbiamo visto quando il Ministero degli Interni ha dato ordine alle prefetture di allinearsi con la pronuncia della Corte di Cassazione del 2022, che rifiutava di registrare l’atto di nascita di un bambino nato in Canada attraverso la gestazione per altri, e alcune amministrazioni comunali si sono rifiutate di aderire alla richiesta di non registrare i bambini. È una violazione dei diritti dei bambini perché li discrimina se nati da coppie omogenitoriali. Le politiche invece devono tutelare tutte le persone, in un’ottica di eguaglianza sostanziale. E ancora, ad esempio sulle “carriere alias” si registra un altro grave passo indietro rispetto alla consuetudine di tanti poli di istruzione di registrare le persone secondo il loro nome di elezione. Ad esempio in Lombardia una mozione di Fd’I chiede alla Giunta regionale di intercedere presso le scuole che hanno questa consuetudine. Noi, al contrario, chiediamo linee guida nazionali che garantiscano un’applicazione uniforme delle “carriere alias”, non solo nelle scuole ma in qualsiasi contesto.

Sulle politiche riguardanti le donne si può dare un giudizio generale?

Ci sono forse due misure diverse dello scontento. C’è un primo pacchetto che parte dalla legge 194, progressivamente svuotata sul territorio a causa dell’altissima percentuale di personale obiettore di coscienza. Che ad esempio nelle Marche arriva quasi al 70%. Nella medesima direzione va, ad esempio, il “Fondo vita nascente” e la “stanza anti aborto” dell’ospedale Sant’Anna, a Torino, oppure la proposta di legge di iniziativa popolare «Un cuore che batte», sempre a firma Fd’I, ad Ancona, che appunto suggerisce di far ascoltare nelle cosiddette «camere d’ascolto» il cuore del feto alle mamme che decidono di abortire. Sono tutti elementi preoccupanti che vanno a ledere l’autodeterminazione delle donne. E invece il nostro giudizio sulle misure prese per contrastare la violenza di genere è un «Ni»: c’è sicuramente un grande interesse da parte di questo governo, visto che si è riattivata la Commissione anti femminicidio in cui si discuterà anche dell’applicazione della Convenzione di Istanbul ratificata nel 2013. Ci sono alcuni passi avanti soprattutto nell’ottica di protezione e prevenzione. Ma secondo noi manca ancora forte l’accento sulla formazione: creare una reale cultura della prevenzione della violenza significa mettere al centro la donna. E non lo si può fare se non si vede nella donna la persona che può gestire il consenso e che lo deve dare.

Dunque abbiamo la prima donna premier e politiche che sminuiscono la capacità delle donne di autodeterminarsi. Se li mettiamo su due piatti, dove pende la bilancia nell’ottica dell’evoluzione della società?

Un conto è il profilo personale di Meloni e un altro è l’impostazione iconografica delle donne, svuotata però di poteri decisionali, perfino sulla propria vita. Non ci sembra che Meloni metta in campo politiche particolarmente attente ai diritti di tutti e di tutte, donne comprese.