Più sospirata e attesa della fumata bianca al conclave, la manovra è uscita dalla commissione Bilancio della Camera, dove era parcheggiata in attesa che la maggioranza decidesse cosa fare da una settimana tonda. Dovrà però tornarci oggi, prima di approdare in aula, dove dovrebbe essere votata tra domani, con la fiducia, e definitivamente sabato. Tra gli emendamenti approvati nella notte ce n’è infatti uno a favore dei comuni che stanzia 450 milioni. Più doppio di quanto rimasto a disposizione. Tutto da rifare e con le dita incrociate pregando che non succeda altro. Non dovrebbe capitare. L’opposizione mira infatti a dare battaglia sulla conversione del decreto Rave che già ieri in commissione è sopravvissuto a un emendamento totalmente abrogativo di Asv per due soli voti.

NERO SU BIANCO, gli emendamenti della maggioranza non giustificano lunghezza e travaglio del parto. Di imprevisto, se si esclude la libertà di abbattere i cinghiali in città per motivi di sicurezza stradale, oggetto di una mezza rissa con i Verdi all’alba, di nuovo c’è una cosa sola: la manovra di smantellamento del reddito di cittadinanza è stata portata a termine con un blitz che ha depennato anche il lavoro «congruo». Già era stato sancito che la prima offerta di lavoro dovrà essere accettata per forza, pena la perdita anche del reddito di cittadinanza. Ora, con l’approvazione di un emendamento firmato da Maurizio Lupi, quell’offerta è a discrezione del datore di lavoro, che dispone di uno strumento di ricatto potentissimo. È l’esatto opposto della logica originaria della misura: permettere ai lavoratori di non dover accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi condizione. Per la fascia tra i 18 e i 29 anni, l’erogazione della somma è poi condizionata all’adempimento dell’obbligo scolastico o alla frequenza nei percorsi di formazione.

NESSUNO È INSORTO per evitare una controriforma feroce, al contrario di quanto successo con lo scudo penale, rimangiata per evitare che le opposizioni, con l’ostruzionismo, costringessero all’esercizio provvisorio. Per un paio d’ore, martedì pomeriggio, il ministro dell’Economia Giorgetti se l’è vista davvero brutta, poi ha chiamato Giorgia Meloni, perentorio: «Dobbiamo evitare quell’emendamento o qui salta tutto». Detto fatto. L’incidente si lascia dietro strascichi pesanti, tanto che la premier dà buca a Bruno Vespa e chissà che non si tratti di un virus azzurro.

L’emendamento era in effetti del viceministro berlusconiano Francesco Paolo Sisto e il ministro di FdI Adolfo Urso non ci pensa due volte a scaricare ogni responsabilità su Fi. Sisto però non ci sta, afferma che c’era un’intesa, non si capisce quanto esplicita, con il viceministro tricolore Leo. Di fatto Giancarlo Giorgetti medita di richiamare in servizio un tributarista di fiducia, Enrico Zanetti: un certo olezzo di commissariamento lo si avverte. Silvio Berlusconi la prende malissimo e intensifica lo scambio di segnali amorosi con Matteo Renzi: non dimenticherà lo sgarbo. Resta il condono, lo stralcio delle cartelle esattoriali fino a mille euro. Però le sanzioni amministrative, comprese le multe, non saranno della partita e la misura scatterà solo col beneplacito del Comune.

POI C’È LA GRANA POS, risolta solo a metà. Nessun problema per il dimezzamento della soglia da 60 a 30 euro, quella il governo la aveva decisa anche senza la pistola dell’Unione europea alla tempia. Già, ma sotto i 30 euro che si fa? Prima di tutto si passa la palla avvelenata ai diretti interessati, associazioni di categoria ed erogatori di servizi Pos. Si mettessero un po’ d’accordo loro e se non ce la fanno entro tre mesi dal prossimo primo aprile le banche e le compagnie devolveranno metà dei proventi da commissione al fisco, che li userà per un fondo di compensazione.

ALTRE NOVITÀ significative rispetto alle previsioni nel pacchetto che la Camera voterà domani non ce ne sono. La tassa sull’extragettito sarà pagata da una platea più limitata. Ci sarà quasi un miliardo per dare una mano alle società di calcio indebitate. I diciottenni avranno un bonus di 500 euro doppio, metà se appartenenti a nuclei familiari con Isee al di sotto dei 35mila euro l’anno, metà se arrivano al massimo dei voti. L’Iva per l’acquisto delle case «green» sarà dimezzata, ma non è che in periferia se ne vedano tante. I termini della dichiarazione di inizio lavori per accedere al Superbonus saranno prolungati al 31 dicembre. Le pensioni minime arriveranno a 600 euro, ma solo oltre i 75 anni e solo per il 2023. Non è una manovra per poveri. Non è un Paese per poveri.