Grande malessere nell’Unione europea di fronte al referendum catalano e alla repressione da parte della Guardia civil. Bruxelles per il momento si limita a invitare la Spagna e la Catalogna a «passare dallo scontro al dialogo». Il presidente Jean-Claude Juncker ha tenuto a precisare che «a questo stadio» la Commissione «non ha nessun ruolo» di eventuale intermediazione, come invece ha chiesto il presidente catalano Carles Puigdemont, che vorrebbe una supervisione Ue a una mediazione internazionale. Per Juncker, «tocca alla parti coinvolte dialogare».

 

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Ai tempi della reazione scozzese al risultato del referendum sulla Brexit, Juncker aveva però ricevuto la prima ministra Nicola Sturgeon: la Scozia aveva ampiamente votato Remain e la carta di Edimburgo poteva servire nel braccio di ferro con Londra. Sulla Catalogna, la Commissione spera di poter passare la grana ad altre istituzioni comunitarie, il Consiglio o la Corte europea dei diritti dell’uomo, per la parte che riguarda il comportamento delle forze dell’ordine. Donald Tusk, presidente del Consglio Ue, invita «a evitare l’escalation».

Anche negli stati Ue c’è molta prudenza. Il primo a reagire in Europa agli avvenimenti di domenica, è stato il primo ministro belga, Charles Michel, che nel suo paese deve far fronte alla fronda dei nazionalisti fiamminghi del Nva: ha invitato al «dialogo politico» e ha ricordato che «la violenza non può mai essere la risposta». Contro la violenza della polizia si sono espresse anche Finlandia, Slovenia e Lituania. Legittimisma invece nei grandi paesi. In Gran Bretagna, il ministro degli Esteri, Boris Johnson, ha liquidato i fatti affermando che «il referendum è un affare del governo e del popolo spagnolo, la Spagna è un’alleata, la cui forza e unità contano». Nicola Sturgeon ha invece invitato a «una condanna unanime» della repressione «indipendentemente dalle nostre opinioni sull’indipendenza».

Emmanuel Macron, che ha telefonato a Mariano Rajoy e ha sottolineato «l’importanza dell’unità costituzionale spagnola» confermando di «avere un solo interlocutore nella persona di Mariano Rajoy». Il Quai d’Orsay ribadisce che per la Francia è importante «l’unità e l’integrità della Spagna, paese amico, voce essenziale sulla scena europea». Il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, ha «preso nota delle diverse dichiarazioni del 1° ottobre, in particolare le proposte del presidente del governo spagnolo di intraprendere una riflessione comune con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento» e invita a un «dialogo pacifico nel quadro della legalità costituzionale».

A sinistra, invece, è condanna della repressione. Per Benoît Hamon, ex Ps, «le immagini di violenza per impedire la gente di votare sono una minaccia». Più radicale Jean-Luc Mélenchon di France Insoumise: «Peccato che la Catalogna non sia il Venezuela» ha ironizzato, «la Spagna ha bisogno di una costituente», mentre Rajoy riapre «cicatrici storiche».
Al Parlamento europeo, che mercoledì discuterà sulla Catalogna, il gruppo S&D sostiene la richiesta di soluzione negoziata voluta dal Psoe e invita al «dialogo»: per il portavoce Gianni

Pittella «è un giorno triste per la Spagna e per tutta l’Europa, la soluzione non può essere che politica, non poliziesca». Il gruppo socialista è favorevole a una commissione parlamentare in Spagna per modernizzare la situazione istituzionale del paese nel rapporto tra stato centrale e autonomie regionali.

L’imbarazzo della Ue è anche dovuto al fatto che nei Trattati non c’è una chiara posizione sulla situazione di un paese che si spacca: il dibattito era già emerso per la Scozia (in caso di indipendenza, per poter rientrare nella Ue). I testi dicono che un territorio che lascia un paese membro si troverebbe fuori anche dalla Ue e per rientrare ci vuole un voto all’unanimità.