Un comandante di Hezbollah, Wissam Hassan Tawil, originario di Kherbet Sellom è stato ucciso ieri dalle Forze di difesa israeliane (Idf). A pochi giorni di distanza dall’uccisione di Saleh al-Aruri, secondo in comando, e di altri sei quadri importanti di Hamas nel quartiere di Mashrafieh, nella Dahieh – la periferia a sud di Beirut roccaforte del Partito di Dio -, questo è certamente un altro fondamentale colpo dal punto di vista simbolico messo a segno da Israele fuori da Gaza.
Benjamin Netanyahu ha ieri incontrato i soldati al fronte nord di Israele e ha dichiarato che «farà di tutto per ristabilire la sicurezza nella zona», ribadendo che vorrebbe ciò non accadesse nel «quadro di una campagna vasta, ma una smile eventalità non ci fermerà».

In un’intervista al Wall Street Journal, il ministro della Difesa israeliana Yvon Gallant ha ribadito un concetto più volte espresso: «Siamo pronti a fare sacrifici. Loro vedono cosa succede a Gaza e sanno che abbiamo la capacità di fare un “copia-incolla” con Beirut»

SI ATTENDE PERÒ LA RISPOSTA di Hezbollah all’uccisione di Aruri, annunciata e confermata nei due discorsi che il leader del partito Hassan Nasrallah ha tenuto il 3 e il 5 gennaio: l’escalation è quindi tutt’altro che scongiurata. «Una risposta a quanto accaduto nella periferia a sud di Beirut è inevitabile. La decisione dipende dal terreno di battaglia. E il terreno non attende» ha tuonato Nasrallah nell’ultimo discorso.

I combattimenti a sud sono infatti più intensi che mai; sabato scorso Hezbollah ha attaccato la base militare di sorveglianza aerea di Meron lanciando 62 razzi, sul monte Jarmaq, nel nord di Israele. Uno degli attacchi più significativi, in quanto quelle di Meron nel nord e di Mitzpe Ramon nel sud sono le due basi militari israeliane più importanti con funzioni di sorveglianza aerea. Daniel Hagari, portavoce delle Idf, ha ammesso i danni, ma ha dichiarato che la base è ancora operativa.

IN LIBANO IL CLIMA è incandescente. C’è stato un hackeraggio la notte tra domenica e lunedì contro l’aeroporto di Beirut, quando gli schermi hanno tutti insieme mandato un messaggio anti-Hezbollah: «Il Rafiq Hariri non è l’aeroporto di Hezbollah e dell’Iran. Hassan Nasrallah, non troverai appoggio se il Libano verrà trascinato in guerra» con sopra il logo di Jnoud al-Rab, I soldati di Dio, formazione ultra conservatrice della destra cristiana, passata alle cronache nei mesi scorsi per aver attaccato un locale lgbtq+ friendly a Beirut.

Miqati, primo ministro uscente, spinge per una soluzione diplomatica. In un intervista televisiva ad Alhurra il premier ha parlato di una possibile trattativa.

L’emissario Usa, Amos Hochstein è atteso in settimana a Beirut. «Lavoriamo a una soluzione diplomatica nel sud del Libano, la cui implementazione deve essere collegata alla fine dell’aggressione israeliana a Gaza. (…) Dobbiamo tornare all’armistizio del 1949 e alla situazione precedente il 1967, tra cui la riconsegna graduale da parte di Israele delle Fattorie Sheba’a occupate» ha detto il premier, che ha poi aggiunto la volontà di implementare la risoluzione Onu 1701, dell’agosto 2006 – fine della guerra del Tammus tra Hezbollah e Israele – che attribuisce alle Nazioni unite (Finul) un ruolo di supervisione dell’area al confine, solo a tratti veramente in controllo.

IL CONFLITTO è però già nei fatti su scala regionale. Nella serata di ieri le Idf hanno annunciato l’uccisione di Hassan Hakashah a Beit Jinn in Siria, figura di spicco di Hamas, mentre gli Houthi continuano le loro operazioni in Yemen e nel mar Rosso. La «guerra totale» regionale tanto evocata e temuta non è stata mai così vicina come ora.