«Dégage» (Vattene). Lo slogan è tornato a risuonare nelle strade di Tunisi a dodici anni dalla cacciata di Ben Ali, il 14 gennaio 2011, benché la capitale fosse blindata dalle forze di sicurezza che per impedire proteste. Questa volta la rabbia è rivolta contro il presidente Kaid Saied, che ha tradito le aspettative di oltre il 70 per cento dei tunisini che l’avevano votato nel 2019.

Forte del supporto allora ottenuto il presidente ha concentrato nelle sue mani tutti i poteri dello stato: sospeso il parlamento, approvata una costituzione fatta su misura e inscenata una farsa elettorale che però non ha tratto in inganno i tunisini che al 90 per cento hanno disertato le urne, non per disinteresse ma per scelta politica. Lunedì è cominciata, nell’indifferenza generale, la breve campagna elettorale per il secondo turno delle legislative, che si terrà il 29 gennaio. Interessati solo i candidati e il presidente che, dopo il flop del primo turno, ha sostenuto: «La partecipazione si misura sui due tempi, come nelle partite sportive».

Il 14 gennaio in piazza i tunisini hanno riproposto le richieste del 2011: pane, lavoro, dignità. La situazione del paese, sull’orlo della bancarotta, è infatti disastroso: l’indebitamento rappresenta l’80 per cento del Pil e a causa del debito sono bloccate le importazioni, mancano latte, zucchero, burro, caffè, medicine.

La situazione è così drammatica che la Libia ha inviato nei giorni scorsi 96 camion carichi di zucchero, semola, riso e olio d’oliva! Chissà se i ministri italiani Tajani e Piantedosi, che ieri erano a Tunisi per bloccare l’e.migrazione, si sono resi conto che ai tunisini manca anche la pasta.
L’inflazione supera il 10 per cento e la disoccupazione il 15. Gli effetti sono allarmanti: la povertà colpisce il 20 per cento della popolazione. Da mesi è in sospeso un prestito del Fmi di circa 1,9 miliardi di dollari condizionato, tra l’altro, da una ristrutturazione di oltre 100 imprese pubbliche.

Si riparte dunque dal 2011? La rivoluzione dei gelsomini non ha dato l’esito sperato, ma i processi di democratizzazione dopo una dittatura sono spesso ostacolati dalla mancanza di istituzioni solide, mire personali, corruzione. Così il parlamento è stato ostaggio degli islamisti o della frammentazione politica che ha aperto la via all’autoritarismo del paladino dei senza-partito, Kais Saied.

L’opposizione al «golpe» del presidente non sembra tuttavia aver ridato credibilità ai partiti, con l’unica eccezione del Partito desturiano libero (Pdl) di Abir Moussi, la carismatica e ambiziosa avvocata già leader del partito di Ben Ali, ritenuta dai sondaggi, con oltre il 40 per cento, l’unica alternativa valida al presidente. Come gli altri partiti dell’opposizione Abir Moussi chiede le dimissioni del presidente e nuove elezioni, ma nello stesso tempo si scaglia contro l’islam politico impersonato da Rachid Ghannouchi fondatore di Ennahdha, la versione tunisina dei Fratelli musulmani, da lei considerato la causa di tutti i mali dopo il 2011.

Tuttavia, travolto da scandali e inchieste giudiziarie che hanno portato in carcere anche l’ex-primo ministro Ali Larayedh, Ennahdha ha esaurito il credito politico che aveva permesso agli islamisti di vincere le prime elezioni dopo il 2011.
In questo panorama una carta importante potrebbe essere giocata dal sindacato, l’Unione generale dei lavoratori tunisini (Ugtt). Il segretario generale Noureddin Taboubi ha invitato i sindacalisti a mobilitarsi «per una battaglia nazionale ben organizzata per salvare il paese».

L’iniziativa «di salvezza nazionale», che si propone di esaminare la possibilità di tenere elezioni presidenziali anticipate, di emendare la costituzione e la legge elettorale, è stata lanciata dal sindacato in collaborazione con l’Ordine degli avvocati, la Lega tunisina dei diritti dell’uomo (Ltdh) e il Forum tunisino dei diritti economici e sociali (Ftdes). L’iniziativa sembra prefigurare una nuova edizione del Quartetto che nel 2015 aveva vinto il Premio Nobel per la pace «per il suo contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralista in Tunisia dopo la rivoluzione dei Gelsomini del 2011». Creato nell’estate del 2013, «quando il processo di democratizzazione era sul punto di crollare sotto il peso di assassini politici e disordini», era stato decisivo per evitare che il paese precipitasse nella guerra civile.

L’unica differenza rispetto ad allora è che nel Quartetto Utica (la Confindustria tunisina) è sostituita dal Ftdes, ma le proposte – sostiene l’Ugtt – saranno presentate alle organizzazioni della società civile, ai partiti politici e anche al presidente della Repubblica. Il sindacato ritiene infatti imprescindibile consultare il presidente sulle iniziative da prendere per uscire dall’impasse mentre per i partiti il punto di partenza è l’uscita di scena di Kais Saied.