Le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano saranno in Italia oggi. Forse. «Se possibile rienreranno non oltre la giornata di domani», ha detto ieri Paolo Gentiloni. Non è chiaro quele sia l’impedimento che costringe il ministro degli Esteri a usare la formula dubitativa. Gentiloni non ha specificato se l’autopsia si sia svolta, com’è probabile, a Tripoli, ipotesi che le famiglie dei due uccisi contestano fortemente. La ritengono «un oltraggio» e si fidano pochissimo dell’attendibilità dei libici.

E’ ovvio che lo slittare del ritorno dei corpi dei due tecnici italiani uccisi esasperi ulteriormente le famiglie, che continuano a usare, specialmente la moglie di Failla Rosalba Greco, toni durissimi nei confronti del governo italiano: «Lo Stato ha fallito. E’ una vergogna come le istituzioni stanno gestendo il rientro della salma». Ai congiunti delle vittime non devono aver fatto piacere neppure le parole pronunciate da Renzi domenica, con l’accenno alle «responsabilità» di chi aveva permesso che i quattro tecnici italiani si trovassero in Libia. La risposta il capo del governo la conosce perfettamente: chi meglio di lui può sapere che erano lì per conto dell’Eni, con il compito di garantire il funzionamento di un gasdotto di vitale importanza per l’Italia?

I due superstiti, Gino Policardo e Filippo Calcagno, hanno confermato ieri di essersi liberati da soli, usando un chiodo. Il loro racconto chiarisce che tutti e quattro i rapiti stavano per essere liberati. Resta dunque misterioso perché siano poi stati separati, mossa rivelatasi fatale per due di loro. I rapitori avevano inoltre garantito, hanno raccontato i due agli inquirenti, che non li avrebbero venduti all’Isis, dopo che uno dei due uccisi, Failla, li aveva implorati di non farlo.

Domani il ministro Gentiloni riferirà in Parlamento sia sulla vicenda dei quattro ostaggi sia sulla possibilità di una spedizione militare. Renzi invece è stato convocato dal Copasir. Quella di Gentiloni sarà una “informativa”, senza nessun voto. Ancora una volta il Parlamento non potrà dire nulla sulla gestione della crisi libica, a tutt’oggi incontrollata. Renzi ha parlato in abbondanza nel week-end, ma ha preferito farlo sul web o di fronte alle telecamere. Il presidente del Senato Grasso, dopo aver preso posizione contro «un intervento puramente militare» destinato a certo fallimento, trova indirettamente modo di ricordare al governo che il Parlamento esiste, con la formula retorica: «Sono sicuro che continueranno a essere garantite tutte le prerogative del Parlamento nelle sue diverse articolazioni».

Il premier, in tv, ha smentito con vigore che l’azione militare sia imminente e la diplomazia italiana ha fatto i passi necessari per ottenere dall’ambasciata Usa una correzione delle dichiarazioni dell’ambasciatore Phillips della settimana scorsa, che davano il corpo d’armata italiana pronto a partire e avevano mandato Renzi su tutte le furie. La precisazione è arrivata ieri. «Non si è trattato di un suggerimento o di una raccomandazione» assicura una nota dell’ambasciata a Roma. Il commento di Phillips «si colloca nell’ambito di un ampio dibattito pubblico, in cui fonti italiane discutevano il possibile impegno e leadership dell’Italia». Ma certo «spetta all’Italia decidere e definire i dettagli del suo impegno».

Parole calibrate per non smentire. L’ambasciatore ricorda infatti che è stata, ed è tuttora, l’Italia a reclamare la guida di un’eventuale spedizione, ed è significativo che parli di «definire i dettagli» di un impegno che viene dato per certo. Del resto proprio ieri il sito dell’inglese Guardian confermava che «una forza internazionale di 5000 uomini a guida italiana è pronta per essere schierata in Libia». I britannici si sono distratti quando Renzi giurava in tv che «con me presidente l’Italia a fare la guerra in Libia con 5000 uomini non ci va»? Impossibile: lo stesso articolo cita le parole del premier.

Il punto è che le assicurazioni di Renzi vanno prese con cautela. Non a caso, subito dopo il fragoroso annuncio pacifista, fonti di palazzo Chigi precisavano che s’intendeva il rifiuto di ogni «impegno unilaterale», come dire che la guerra da sola e senza un governo libico a chiedere l’intervento l’Italia non la farà. Benissimo ma era già noto. Renzi ha detto qualcosa di più, quando ha specificato il numero di militari che, con lui al governo, non partiranno mai. Non è un problema secondario: spedire 5000 soldati costerebbe una tombola e una spedizione quasi esclusivamente tricolore esporrebbe l’Italia a rappresaglia. La composizione della spedizione è uno dei punti sui quali la trattativa in particolare con la Francia è aperta. Uno dei principali tra quelli che saranno al centro del colloquio di oggi a Venezia tra Renzi e Hollande.