Si comincia! Il terzo processo per la rimozione dalla carica di un presidente degli Stati uniti nella storia della repubblica è iniziato ieri nell’aula del Senato, per l’occasione trasformato in Alta corte di giustizia, sotto la presidenza del capo della Corte suprema John Roberts. Dal 1787 a oggi ci sono stati soltanto altri due processi: quello contro Andrew Johnson nel 1865 e quello contro Bill Clinton nel 1999. Quello più atteso, contro Richard Nixon nel 1974, non ebbe mai luogo perché Nixon preferì dimettersi.

QUESTO CI DÀ LA MISURA di quanto eccezionale sia la procedura di impeachment, inserita nella Costituzione ma sostanzialmente mai usata per la difficoltà di raggiungere le maggioranze necessarie (maggioranza semplice alla Camera e poi quorum dei due terzi al Senato). In effetti, fiumi di inchiostro sono stati spesi su questo tema per l’ambiguità della formula su cosa sia necessario per rimuovere un presidente dalla sua carica: occorre che si sia reso colpevole di High Crimes and Misdemeanors, essenzialmente di gravi crimini contro lo Stato.

Malgrado la storia degli Stati uniti sia costellata di presidenti che si sono macchiati delle peggiori nefandezze, in particolare di invadere paesi vicini e lontani senza autorizzazione del Congresso come richiesto dalla Costituzione, i due processi avviati contro Andrew Johnson e Bill Clinton si caratterizzavano per la loro banalità: rimuovere funzionari federali senza autorizzazione il primo, aver mentito su una storia di adulterio il secondo. Pretesti politici che non convinsero la maggioranza del senato né in un caso né nell’altro.

LA SITUAZIONE DI TRUMP è diversa: il miliardario di New York che ha conquistato dall’esterno il partito repubblicano nel 2016, e poi vinto le elezioni pur avendo ottenuto 3 milioni di voti in meno della sua avversaria, è stato sospettato di alto tradimento fin dal giorno del suo ingresso in carica.

 

14 gennaio 2020, Trump in scena alla Milwaukee Panther Arena (foto Ap)

 

I democratici sono convinti, con molte buone ragioni, che abbia potuto vincere soltanto grazie all’appoggio occulto dei russi, che all’epoca inondarono gli elettori americani di false notizie con la complicità di Facebook e di una società di consulenza di proprietà di due miliardari americani, Cambridge Analytica. Su questo c’è stata una lunghissima indagine di un procuratore speciale, Robert Mueller, che però non è approdata a conclusioni sufficientemente chiare (la famosa “pistola fumante” che dimostra la colpevolezza) per avviare l’impeachment.

I DEMOCRATICI hanno quindi optato per mettere Trump in stato d’accusa con due soli capi d’imputazione: aver manipolato la politica estera americana verso l’Ucraina per trovare i panni sporchi del candidato democratico Joe Biden e, in seguito, aver interferito con le indagini del Congresso e il corso della giustizia.

Le prove sono schiaccianti ma la difesa dei repubblicani sarà che i presidenti in politica estera possono fare ciò che vogliono e che quindi non c’è stato alcun crimine, di conseguenza nemmeno ostruzione della giustizia. In un’aula di tribunale sarebbe una tesi molto debole ma quello davanti al senato è un processo politico e la maggioranza dei senatori è ben decisa ad assolvere Trump senza pensarci troppo.

IERI, TUTTO È INIZIATO come previsto, con la schermaglia sulle regole da adottare nel processo, in particolare se sentire dei testimoni o no: i repubblicani sono contrari (per timore che possano essere rivelati nuovi elementi di colpevolezza) e i democratici sono favorevoli. Sarà interessante vedere se il presidente della Corte Suprema John Roberts userà i suoi poteri per decidere la conduzione del dibattito o se invece si limiterà a eseguire gli ordini della maggioranza repubblicana, che vuole chiudere la faccenda nel giro di pochi giorni.
Resta da capire che effetto avrà questo spettacolo politico sugli umori dei cittadini, che tra 8 mesi devono recarsi alle urne per eleggere non solo il presidente ma anche la Camera e un terzo del senato.

PER IL MOMENTO, il consenso degli americani nei confronti di Trump è immutato: minoritario (attorno al 42%) ma solido. I sondaggi dicono che una maggioranza degli interpellati è convinta che Trump sia effettivamente colpevole, mentre c’è più incertezza sull’opportunità o meno di rimuoverlo dalla carica. Il risultato più probabile è che nel giro di dieci giorni tutto finisca in un’assoluzione, ma il verdetto dei cittadini in novembre è invece molto più incerto.