Il primo discorso di Trump sullo stato dell’Unione ha avuto il tono apparentemente mite che mantiene da quando ha parlato a Davos durante il World Economic Forum, ma i contenuti non si sono allontanati dal pensiero America First che the Donald porta avanti.

Il discorso sullo stato dell’Unione è di per sé uno spot del governo, e nelle mani di Trump è diventato un ennesimo momento di propaganda. Per un’ora e 20 minuti ha parlato di un «Nuovo Momento Americano», ha citato i nuovi investimenti in America annunciati da Chrysler e da altre case automobilistiche grazie alle politiche della sua amministrazione, ha ricordato che Apple nei prossimi anni investirà 350 miliardi negli Stati uniti, omettendo però che la cifra di cui si parla è una stima aziendale, e i dati sulle assunzioni non possono essere paragonati a quelli degli anni passati in quanto non sono noti.

RIGUARDO L’ENERGIA Trump ha detto di aver «messo fine alla guerra contro l’energia americane e contro il bellissimo carbone pulito», anche se i dati dicono che l’industria del carbone continua a scendere.
Sul commercio si è tenuto vago, nessun riferimento al Nafta, solo qualche parola dura per Russia e Cina in quanto «sfidano i nostri interessi».

Trump ha parlato di tre milioni di lavoratori che sotto la sua presidenza hanno ricevuto «premi legati agli sgravi delle tasse», anche se ancora non si sa se sarà un aumento effettivo o resterà un episodio isolato, poi ha chiesto al Congresso una legge che permetta di licenziare i dipendenti federali.

Durante il discorso Trump si è rivolto ai democratici invocando un governo di unità per portare avanti opere importanti come quelle a lui care legate alle infrastrutture.

«È una disgrazia che servano dieci anni per ottenere un permesso per una semplice strada – ha detto -. Chiedo ai due partiti di darci una sicura, veloce, affidabile e moderna rete infrastrutturale».

Difficilmente i democratici afferreranno la mano tesa, in quanto a ricompattarsi sono stati Trump e il Partito repubblicano, mentre l’opposizione non potrebbe essere più lontana dalla Casa bianca e il tema dell’immigrazione lo ha enfatizzato. Il compromesso di cui ha parlato Trump comporta la legalizzazione di 1,8 milioni di immigrati illegali arrivati negli Usa da bambini, i cosiddetti Dreamers, in cambio della sicurezza dei confini che include il muro con il Messico, la fine della lotteria per la carta verde e i ricongiungimenti familiari dicendo che oggi è possibile per un immigrato far arrivare un «illimitato numero di distanti parenti» anche se i ricongiungimenti riguardano solo coniugi, genitori e figli.
Non ha parlato dell’indagine sul Russiagate che lo coinvolge, e in politica estera ha vantato i successi contro Isis e l’intenzione di tenere aperto il carcere di Guantanamo che già George W. Bush avrebbe voluto chiudere.

IL DISCORSO DI RISPOSTA dei democratici è stato affidato al 37enne Joseph Kennedy, che ha parlato di un’America inclusiva, senza spaccature interne tra le sue diverse realtà, della possibilità di un’economia solida, ma anche «abbastanza coraggiosa da ammettere che non è giusto che i top manager guadagnino 300 volte quel che prende un impiegato medio».

Al di là del bel discorso del giovane Kennedy l’averlo scelto dimostra come anche i democratici, in modo diverso da Trump, siano rivolto all’indietro riproponendo lo schema più ovvio dell’establishment di partito. m. cat.