Donald Trump, in un’intervista al Financial Times, alla vigilia della visita del leader cinese Xi Jinping negli Stati uniti, ha dichiarato che l’America potrebbe agire unilateralmente se la Cina non intensificherà gli sforzi per contenere gli esperimenti missilistici nucleari della Corea del Nord.

«La Cina ha una grande influenza sulla Corea del Nord – ha dichiarato Trump al quotidiano statunitense – e dovrà decidere se aiutarci o meno con la Corea del Nord. Se lo faranno, sarà un bene per la Cina, e se non lo faranno non sarà un bene per nessuno».

Alla domanda su che tipo di stimolo possano offrire gli Stati uniti alla Cina, Trump ha risposto che «il commercio è l’incentivo, è tutta una questione di commercio».

Dopo di che Trump ha anche suggerito che, se il pungolo economico non dovesse funzionare per assicurarsi la collaborazione della Cina, gli Stati uniti potrebbero decidere di affrontare da soli la questione del programma nucleare e missilistico nordcoreano.

Secondo alcuni analisti la scelta di chiedere la collaborazione di Pechino per gli Usa è quella più sensata, come ha dichiarato Peter Layton, visiting fellow presso il Griffith Asia Institute in Australia, secondo il quale gli Stati uniti hanno bisogno di convincere la Cina di star attivamente mantenendo in vita un regime indesiderato, utilizzando forum come quello del G20 e delle Nazioni Unite.

«La strategia è quella di convincere la leadership cinese di star facendo del male a se stessa, aiutando la Corea del Nord, e poi, tramite dichiarazioni riprese dai media, creare un legame tra le azioni di Kim Jong Un e quelle di Xi Jinping, cercando di associarli nella mente del pubblico mondiale, per quanto possibile».

Questa strategia che passa per la Cina, non è però condivisa da tutti: per altri analisti potrebbe non funzionare, come ha dichiarato alla Cnn Anthony Ruggiero, senior fellow presso la Fondazione per la Difesa delle Democrazie.

«Far sì che la Cina faccia pressione sulla Corea del Nord non ha funzionato per Bush, non ha funzionato per Obama e non funzionerà per Trump. Semplicemente le due potenze non hanno le stesse priorità», ha spiegato Ruggiero.

Fino ad oggi la politica americana si è concentrata sugli sforzi multilaterali con colloqui a sei e sanzioni da parte delle Nazioni Unite, oltre allo stare in attesa delle mosse del regime di Kim con una strategia politica conosciuta come «pazienza strategica».

Ma tutte queste mosse hanno avuto ben pochi effetti sul dilagare dei programmi missilistici e nucleari della Corea del Nord dal 2016.

Durante la campagna elettorale in tre occasioni Trump si era detto sicuro di poter risolvere il problema con il dittatore coreano «davanti a un hamburger», ma forse sta iniziando a pensare che servirà ben più di panino.

Il nodo centrale per Washington restano i timori che la Corea del Nord possa sviluppare la capacità necessaria per colpire gli Stati uniti tramite missili nucleari a lungo raggio, ma anche su questa possibilità i pareri sono discordi.

Per il vice consigliere Usa per la sicurezza, nazionale, K.T. McFarland, esiste una «possibilità reale che la Corea del Nord possa sviluppare la capacità di colpire gli Stati uniti con un missile nucleare entro la fine del mandato di Trump», ma in genere gli esperti tendono a spostare la tempistica.

«Le stime tipiche dicono che ci vorranno cinque anni o qualcosa del genere», quindi dopo la fine del primo mandato di Trump, afferma Siegfried Hecker, ex direttore del Los Alamos National Laboratory negli Stati uniti, esperto del programma nucleare nordcoreano.