E se fosse tutta una messa in scena? Tra i seguaci di Trump c’è chi non riesce proprio a crederci, che il proprio beniamino sia finito vittima di quel virus del quale molti di loro negano l’esistenza stessa e che, comunque, secondo il presidente, è ormai in via di sparizione. Non deve sorprendere. Non deve sorprendere che tra suprematisti, negazionisti e complottisti – la base dura di Trump – ci siano fan del presidente disposti a pensare che il loro eroe abbia in mente una mossa strabiliante per spiazzare gli avversari, addirittura inventandosi una positività al coronavirus per poi riapparire più forte, avendo messo ko l’invisibile e, in fondo, innocuo nemico.Non solo loro.

[do action=”citazione”]Di fronte a una notizia così, riguardante un personaggio così, l’incredulità ha una sua chimica particolare, dopo mesi, anni, di dibattito pubblico intossicato da questo presidente ora vittima numero uno mondiale di Covid.[/do]

Scrive Frank Bruni, opinionista del New York Times: «La misura del cinismo che ha infettato la politica americana – e sì, anche me – è che tra le mie prime reazioni alla notizia che il presidente Trump era risultato positivo al test del coronavirus è stata: ne siamo sicuri? Possiamo fidarci? Un uomo che così spesso e teatralmente gioca alla vittima.. (…) ora è costretto ad abbandonare la campagna elettorale, non sarà una scusa pazzesca?».

Nelle ore che hanno seguito il tweet in cui Donald e Melania Trump annunciavano di essere risultati positivi a Covid-19, il personaggio che ha alimentato “strategicamente” il gioco perverso delle fake news è finito nel tunnel del virus e nel tritacarne mediatico, di cui una parte consistente è di “informazioni” drogate, manipolate, alterate, creato dalla stessa Casa bianca.

Il presidente che ha costruito una sua realtà alternativa intorno al virus responsabile della morte di 200mila americani, è vittima egli stesso di quel virus ed è vittima delle irresponsabili fantasiose elucubrazioni con cui ha cercato di negare l’emergenza virale e, poi, la sua incapacità a fronteggiarla.

La serietà delle sue condizioni non è nota. Si sa però che non è asintomatico, ci sono sintomi, dunque, il paziente ha 74 anni, è sovrappeso, assume farmaci, e pertanto occorrerà aspettare per capire il decorso della malattia.

L’entourage, gli amici e gli alleati tendono a minimizzare la situazione. Descrivono un presidente in quarantena ma al lavoro come sempre. Mitch McConnell, il numero uno dei repubblicani al senato, fa sapere che l’iter di conferma della nomina di Amy Coney Barrett alla Corte suprema «procederà a tutto vapore». In tempi normali, un quadro reso più roseo, per non allarmare, più che l’opinione pubblica, gli ipersensibili mercati, può anche starci. Non in una campagna elettorale combattuta all’ultimo voto.

Anche nella forma più lieve, il contagio costringe il presidente a cancellare buona parte del piano di rimonta messo in campo dopo le rivelazioni sui redditi non dichiarati, dopo il disastroso dibattito di Cleveland e dopo il superamento della soglia delle 200mila vittime da Covid, mentre il rivale democratico è avanti nei sondaggi sia a livello nazionale sia in alcuni stati-chiave.

Biden, che è risultato negativo, continua a fare la sua campagna elettorale ed è ora nelle condizioni favorevoli per incrementare il vantaggio già accumulato.

Cosa potrà inventarsi l’esuberante presidente – ammesso che le condizioni psicofisiche di letargia glielo consentano – per almeno contrastare l’avversario democratico e non scendere ancora di più nei sondaggi?

Il tempo e i soldi, in questa fase finale della campagna elettorale, a un mese esatto dal voto, sono fattori decisivi. Trump si trova a corto di soldi e il fermo lo costringe a cancellare importanti iniziative e incontri con i donor. E adesso scarseggia anche il tempo, necessario sia per cercare soldi per l’ultimissima fase del bombardamento di spot sia per incontrare gli elettori negli stati in bilico sia per incoraggiare la sua base militante.

[do action=”citazione”]Così, Biden, se procederà senza fare passi falsi – essendo il tipo che ne fa – dovrebbe andare senza problemi verso il successo finale.[/do]

Ma anche per il candidato democratico il cambiamento improvviso di scenario pone problemi inediti, non solo indubbi ed evidenti punti di vantaggio. Da una strategia tesa soprattutto a mobilitare l’elettorato riluttante del suo campo attaccando l’avversario e mettendone in evidenza i pericoli di un secondo mandato, adesso si trova a disagio in un atteggiamento che non può essere né d’attacco verso una persona malata né d’ipocrita compassione. È il momento di dimostrarsi presidential, non solo per contrasto con il presidente «eversore».

Anche prima di essere colpito dal virus, l’assillo di Trump era quello di scongiurare o almeno contenere le crepe ormai visibili nel suo blocco elettorale, finora molto coeso. Biden ha l’ansia opposta: guadagnare simpatie in fasce elettorali democratiche con le quali non funziona più da tempo il “ricatto” del voto democrat per impedire la vittoria di chi sfascerà la democrazia americana, già ridotta un po’ male da troppi presidenti democratici. Il tempo di qui all’Election Day mette alla prova i due contendenti più di fronte ai loro rispettivi elettorati che nel diretto confronto tra loro.

Sarà, anche per questo, un ottobre sorprendente.