Riguardo il commercio gli Stati uniti non intendono più inchinarsi al resto del mondo, il presidente Donald Trump ha intenzione di agire. Così ha dichiarato all’emittente Cnbc il segretario al commercio Wilbur Ross: «Siamo in una guerra commerciale. Ci siamo da decenni, l’unica differenza è che ora le nostre truppe stanno finalmente alzando le difese. Non siamo finiti in un deficit commerciale per caso».

Ross, un miliardario che ha fatto la propria fortuna investendo e rilevando attività in difficoltà, sostiene che i deficit sono il risultato di cattivi accordi commerciali e delle manovre di altri paesi che cercano, invece, di privilegiare le esportazioni invece che le importazioni: «Il nostro deficit commerciale complessivo è di circa 500 miliardi di dollari l’anno. E guarda caso è uguale al surplus commerciale con il resto del mondo».

Nonostante quello che dicono alcuni critici, Ross sostiene che i deficit commerciali, vale a dire la disparità tra importazioni e esportazioni, non sono positivi per l’economia di una nazione e alla Cnbc ha ribadito il concetto: «Se deficit commerciali sono una cosa buona, perché la Cina è così contenta e preferisce gestire un enorme surplus commerciale? È evidente che se la Cina non fosse stata una tale enorme esportatrice non sarebbe mai cresciuta al ritmo con cui lo ha fatto».

Le parole di Ross hanno accompagnato l’annuncio da parte della Casa bianca secondo il quale il presidente Trump si accinge a varare due decreti per combattere il deficit commerciale Usa nei confronti dei propri partner.

Uno degli ordini esecutivi, spiegato da Ross e poi annunciato da Trump, commissiona al Dipartimento del Commercio un rapporto sulle pratiche che contribuiscono al deficit commerciale della nazione; l’altro vuole implementare i dazi antidumping e compensativi, vale a dire vere e proprie tariffe protezionistiche che un governo nazionale impone sulle importazioni straniere, che a suo avviso hanno un prezzo inferiore al valore di mercato.

Bisognerà vedere i dettagli di questi provvedimenti, ma questa posizione sembra allarmante: Trump pare voler far prevalere la guerra del più forte, porre dazi non è vietato ma il Wto lo ammette in casi molto specifici, di concorrenza sleale, e non è questo il caso.

La giornata politica americana non si era aperta con l’imposizione dei dazi, visto che per l’amministrazione Trump rimane aperto un fronte caldissimo, quello dell’investigazione sul Russiagate.

Michael Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale costretto a dimettersi dopo soli 24 giorni per via dei suoi contatti con l’ambasciatore russo a Washington, si è detto disponibile ad essere interrogato a patto che gli venga accordata l’immunità.

La notizia è stata data dal Wall Street Journal secondo il quale l’offerta è stata trasmessa dall’avvocato di Flynn alla polizia federale americana e alle commissioni di inchiesta della Camera dei rappresentanti e del Senato. Al momento la richiesta di immunità è stata respinta, ma non vuol dire che non possa essere accolta in seguito.

«Non si sa se Flynn abbia proposto di parlare di aspetti specifici del periodo trascorso a lavorare per Trump – ha spiegato il quotidiano, citando una fonte vicina al governo – ma il fatto che chieda l’immunità suggerisce che ritiene di potersi ritrovare con problemi giudiziari dopo il breve mandato da consigliere della sicurezza nazionale».

Non è una pratica inusuale quella di chiedere immunità in casi come questi, quella che si gioca è un partita a scacchi tra Flynn e il Senato: l’ex consigliere vuole avere la sicurezza di non ritrovarsi imbrigliato in un’inchiesta personale; il Senato da parte sua, vuol capire quanto succose possano essere le informazioni in possesso di Flynn, ed in quel caso, se dovesse stabilire che il gioco vale la candela, potrebbe dare a Flynn l’immunità che gli permetterebbe di parlare liberamente.

Al momento il Senato ha chiesto di far deporre 20 persone: non si sanno tutti i nomi, ma di sicuro è presente anche quello di Jared Kushner, genero di Trump.