Prima di arrivare a Pechino, dove è atteso oggi, Donald Trump ha effettuato la sua seconda tappa asiatica: dopo il Giappone è giunto in Corea del Sud. Atterrato, si è diretto alla base americana a 70 chilometri da Seul dove ha incontrato la controparte, Moon Jae-in, definito «un gentiluomo» in un tweet del presidente americano.

Già nella sua sosta in Giappone Donald Trump era parso segnare la propria visita con messaggi tendenzialmente distensivi – «risolveremo tutto» aveva detto riferendesi alla crisi coreana, prima di decollare dal Giappone alla volta di Seul – ma senza nascondere la sua inclinazione di commerciante di armi.

Se infatti alcuni paesi asiatici chiedevano a Washington parole più forti sulla sicurezza dell’area, Trump ha preso la palla al balzo agganciando in modo chiaro l’eventuale «ombrello» americano, all’acquisto di armamenti da parte degli alleati.

[do action=”citazione”]In pratica, ha fatto capire Trump, la sicurezza dei paesi «amici» non può stare sulle spalle dei soli Usa: serve che gli acquisti vengano effettuati e siano cospicui.[/do]

La difficoltà diplomatica del suo viaggio in Corea del Sud, però, è emersa: mentre Trump incontrava Moon Jae-in, tanti sudcoreani protestavano contro gli Stati uniti, più temuti dei sussulti missilistici del vicino di casa Kim Jong-un.

E lo stesso Moon Jae-in si è trovato costretto a gestire una situazione non facile: arrivato al potere sotto gli auspici di una vocazione socialdemocratica, pacifista e aperto a eventuali confronti con la Corea del nord, con l’acuirsi della crisi a causa dei comportamenti tanto di Trump quanto di Kim Jong-un, il numero uno sudcoreano è stato catapultato in una sorta di cul-de-sac: da una lato deve tenere fede al suo approccio moderato, dall’altro deve tenere a freno una parte della società sud coreana che gli rimprovera di sottovalutare il pericolo che arriva dalla Corea del Nord.

Per questo ieri si è assistito a dichiarazioni formali alla ricerca di un difficile equilibrio. Moon ha ribadito la volontà di arrivare a un negoziato per quanto riguarda la minaccia nord coreana, ma allo stesso tempo ha dovuto garantire a Washington e ai «falchi» di Seul «l’acquisto dei più avanzati asset di sorveglianza militare» oltre a raggiungere un accordo per «rimuovere il limite al carico dei missili» a disposizione dell’arsenale sudcoreano; una decisione quest’ultima che di certo non farà piacere a Pechino.

Trump ha gongolato, ribadendo la sua missione di diminuire il peso economico degli Usa: «l’ammontare di equipaggiamenti e cose che ordinerete dagli Stati uniti aumenterà in maniera sostanziale, ha specificato, riducendo in questo modo il deficit commerciale che è molto importante per il nostro popolo».

[do action=”citazione”]Quanto alla Corea del Nord, nell’avvicinamento verso Pechino Trump ha deciso di smorzare via via i toni.[/do]

Se all’arrivo in Giappone aveva affermato ancora una volta di essere disposto a sfoderare tutto l’«imbattile» arsenale militare americano, ieri ha cominciato a deviare verso parole più conciliatorie.

Pesano sicuramente le notizie che arrivano dalla Cina: dopo lo scambio di congratulazioni e saluti in occasione del diciannovesimo congresso del partito comunista tra Kim Jong-un e Xi Jinping sembrano aprirsi nuovi canali destinati, forse, a garantire una prima soluzione, ovvero un tavolo attorno cui fare sedere un po’ tutti.

Ieri infatti Trump ha sottolineato «il ruolo importante e lo scoprirete presto» da parte di Xi e si è dimostrato ottimista circa negoziati in grado di costringere a una mediazione Kim Jong-un. «Se tutti contribuiamo, il problema nord-coreano potrebbe essere risolto velocemente» ha concluso Trump.