A soffrire, a Tripoli, non sono più soltanto i migranti rinchiusi nei centri di detenzione ormai gli intensi combattimenti delle ultime 48 ore stanno provocando un’ondata di profughi interni.
Sono circa 4 mila le famiglie di cittadini libici costrette ad abbandonare le loro case nel quartiere di Abu Salim a sud della capitale dove hanno ripreso a infuriare i combattimenti anche con artiglieria pesante e missili Grad. Lo riferiva in serata una nota del ministero dell’Interno pubblicata dal quotidiano Libia Observer. Si vanno creando accampamenti di fortuna di sfollati ad Ain Zara con tende e brandine, acqua e generi alimentari forniti delle agenzie internazionali Unrwa e Oim. Altre 125 famiglie saranno ospitate nelle scuole cittadine, che molto probabilmente non potranno iniziare l’attività didattica rispettando il calendario che fissava il ritorno sui banchi il prossimo 3 ottobre.

Tripoli è una metropoli da un milione di abitanti e i combattimenti sono particolarmente cruenti nella zona di Trek al Matar, proprio nelle adiacente del centro di accoglienza per migranti «fiore all’occhiello» del governo Serraj inaugurato a fine luglio dall’ambasciatore italiano Giuseppe Perrone, ora «esiliato» in Italia per la recrudescenza della situazione a Tripoli e per esplicita richiesta del generale cirenaico Haftar.

Domenica un missile ha centrato una casa sterminando un’intera famiglia, quella del medico Saab Diyab, con due figli piccoli. L’Unicef ora teme per la sorte di 500 mila bambini, che rischiano di veder peggiorare rapidamente la loro possibilità di accesso a servizi essenziali come acqua, luce, ricovero, sanità, istruzione.
La Brigata al Sumud, con a capo l’islamista misuratino Salah Badi, responsabile della rottura di una settimana fa della tregua dichiarata dall’Onu il 4 settembre, ha fatto sapere di aver ricevuto rifornimenti di armi e munizioni dalla città-Stato di Misurata per lanciare un’offensiva contro le milizie fedeli al governo Serraj.

Tutti iniziano almeno a dichiararsi molto preoccupati, dall’Algeria al Palazzo di Vetro dove c’è stata una riunione sulla Libia a latere dell’Assemblea generale di oggi, fino alla Francia, dove il ministro Le Drian invoca ora sanzioni a difesa di Serraj. Anche il Parlamento di Tobruk nella seduta di ieri, invece del referendum costituzionale, ha parlato dalla crisi a Tripoli. E essendo tutti «amici» di Haftar piuttosto che di Serraj, per quest’ultimo possono sembrare rintocchi di campana.