Le autorità libiche hanno autorizzato la ripresa dei voli di evacuazione dei migranti. Lo ha comunicato ieri l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), che però avverte: non è sufficiente. «Si tratta di uno sviluppo positivo per alcuni dei rifugiati più vulnerabili che attendono di partire da molti mesi – ha dichiarato Vincent Cochetel, inviato speciale Unhcr per il Mediterraneo centrale e occidentale – Ma bisogna essere realisti: dei voli di reinsediamento o evacuazione potrà beneficiare un numero limitato di persone».

Sono un migliaio i rifugiati e richiedenti asilo che al momento hanno la priorità per gli aerei umanitari. Questi decollano all’interno del Meccanismo di transito di emergenza (Ets, Emergency transit mechanism) a cui possono accedere le persone registrate presso Unhcr in Libia. In genere hanno nazionalità a cui l’asilo politico è riconosciuto quasi sempre. I voli Ets non vanno confusi con i corridoi umanitari organizzati direttamente da alcuni Stati nazionali (tra cui l’Italia). Chi riesce a salire a bordo atterra in Ruanda o Niger, svolge la procedura per l’asilo nei centri di transito e attende il reinsediamento nei paesi che accettano quote di rifugiati (tra questi: Finlandia, Canada, Svezia, Gran Bretagna).

Dal 2017 in questo modo sono state evacuate dalla Libia 3.361 persone verso il Niger e 648 verso il Ruanda. Con lo scoppio della pandemia i voli sono stati sospesi. Il 22 giugno scorso le autorità libiche hanno comunicato ufficialmente che sarebbero ripresi. Il 15 luglio un aereo è partito con destinazione Ruanda: a bordo c’erano 133 persone, poco più della metà di quelle previste perché delle altre nel frattempo si erano perse le tracce. Quei rifugiati sono gli unici ad aver beneficiato dell’evacuazione durante tutto il 2021. Un secondo volo avrebbe dovuto portare in Niger 164 migranti il 12 agosto ma è stato annullato da Tripoli. In totale a inizio ottobre i rifugiati registrati nel paese nordafricano presso gli uffici Unhcr erano 41.681.

«Speriamo che il prossimo volo possa essere a inizio novembre – dice al manifesto Caroline Gluck, portavoce Unhcr Libia – Il problema è che abbiamo perso i contatti con molte delle persone che dovrebbero partire. Dopo i recenti raid alcune sono state arrestate, altre non hanno più una casa o un telefono». Il primo ottobre le forze libiche sono entrate nel quartiere di Gargarish, a Tripoli, e hanno rastrellato i rifugiati casa per casa. In 4/5mila sono finiti nei centri di detenzione. Le operazioni hanno provocato almeno un morto, mentre altre sei persone sono state uccise dagli spari dei carcerieri durante la fuga in massa dalla prigione di Al Mabani. Anche in altre zone della città ci sono stati dei raid.

Dopo le violenze 3mila di rifugiati hanno cercato riparo davanti al Community Day Centre dell’Unhcr, a Tripoli. Da 22 giorni sono accampati lì: dormono all’aperto, sono esposti al freddo, alla pioggia e alle violenze. Il 12 ottobre Amer Abaker, sudanese di 25 anni, è stato ammazzato tra la folla da uomini libici a volto coperto. I rifugiati lamentano di non ricevere assistenza medica né beni di prima necessità. «Siamo da tre settimane senza cibo», denunciano. Hanno perso tutto e sopravvivono solo grazie alla solidarietà reciproca e dei cittadini libici che regalano qualcosa da mangiare.

Negli ultimi giorni ci sono stati presidi di sostegno alla protesta in diverse città europee e ieri è toccato anche a Roma. Davanti all’ambasciata libica si è data appuntamento la comunità eritrea. «In Libia è in corso una tragedia. Chi arriva in Italia racconta di torture con i cavi elettrici e la plastica bollente. Tutte le donne subiscono violenze. I trafficanti chiedono sempre più soldi – dice Abraham Tesfai durante la manifestazione – Dopo i rastrellamenti la situazione è peggiorata. Bisogna liberare gli arrestati, curare i feriti, aprire i corridoi umanitari ed evacuare tutte le persone in pericolo. Questa situazione è responsabilità dell’Italia e dell’Europa».