Gli alberi sono tutti uguali? Ne butti giù uno e basta piantarne un altro chissà dove e siamo pari? Un albero secolare si può davvero sostituire? La risposta sembra ovvia ma non per la maggioranza di destra che governa Trieste: perseguendo l’idea di costruire una funivia che colleghi il vecchio porto asburgico all’altopiano carsico, giura che i 1700 alberi di un bosco che farà abbattere verranno sostituiti da un numero doppio di nuove piantumazioni, per «compensare». Ancora una volta ha messo al lavoro gli uffici a causa dell’ennesimo parere negativo: stavolta è stata la Direzione regionale per la Tutela dell’Ambiente che, prendendo atto che il percorso della funivia andrebbe a compromettere il Bosco Bovedo, sito di interesse comunitario tutelato dalla Rete Natura 2000, ha messo nero su bianco un parere negativo. Secondo il Servizio Biodiversità della Regione, il progetto della cabinovia «determina perdita di habitat di specie di interesse comunitario, anche di specie con stato di conservazione definito come vulnerabile o in pericolo, dove invece andrebbero previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione».

MA PER IL COMUNE TUTTO SI RISOLVE con qualche albero nuovo da qualche altra parte mentre traspare il fastidio per l’ennesimo bastone tra le ruote. «Ho detto al ministro Piantedosi che o li mette tutti in riga o mi dice chiaro che questa cabinovia non si fa» ha annunciato il sindaco Roberto Dipiazza con il solito tono da capomanipolo. Aggiornato il quadro economico con 759 mila euro per incentivare i tecnici del Comune che, effettivamente, hanno un bel daffare con questo continuo rimaneggiare dati e documenti – fondi pubblici che si sommano al milione e duecentomila euro già spesi.

Il «BOSCO SUL MARE», CASTAGNI E ROVERI descritti già nelle pergamene del 1200, amato da chiunque si occupi di biodiversità e segnalato nelle guide turistiche per le sue caratteristiche uniche dove convivono specie provenienti da tre habitat diversi: il balcanico rovere di Slavonia, l’erica alpina e il cisto mediterraneo. Un microclima più freddo rispetto alla riviera sottostante, al confine tra la zona calcarea del soprastante ciglione e il flysch della collina sottostante, c’è il bosco della salvia e la flora mediterranea che arrivano a un vallone freddo e umido di fondo valle tra castagni e altri alberi di alto fusto dove nidifica il pettirosso, specie rara in riva al mare, fino alle preziosissime argille con acque copiose che favoriscono la crescita di un bosco composto quasi esclusivamente da rovere ed erica selvatica. Settantanove specie di uccelli hanno permesso al Bosco Bovedo di rientrare tra i Boschi Regionali di Rilevanza Faunistica, ma può vantare anche la presenza di almeno dodici specie tra rettili e anfibi – la Salamandra pezzata -, numerosi piccoli mammiferi – la rara e minacciata nottola – e caprioli e cinghiali che si abbeverano a un piccolo specchio d’acqua. E il Picchio rosso che, nell’Italia settentrionale, è presente solo a Trieste. O la testuggine di Hermann, inserita nella Red List delle specie minacciate di estinzione e protetta dalla Convenzione di Berna.

NEL BOSCO BOVEDO, POI, LE PIANTE, non temono le alte temperature, il secco, l’assenza di piogge ma ben sopportano i nubifragi improvvisi perché è un querceto cosiddetto «termofilo», un’area essenziale per la tutela del territorio, necessaria come il pane a fronte dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Un ambiente preziosissimo ma fragile e franoso, come peraltro già indica il nome che avrebbe origine nella voce prelatina bova = smottamento. Questo si vuole disboscare, è qui che si vogliono piantare piloni da trenta metri.

NON È SOLO UNA QUESTIONE «AMBIENTALE», c’è anche il prevedibile sconquasso economico del bilancio comunale: un impianto che parte tra gli edifici abbandonati del vecchio porto, un fatiscente nulla, per arrivare in Carso in mezzo al niente, non può essere appetibile né per i pendolari della zona né per i turisti e non è difficile dimostrarlo. E poi, per quello che è stato fin’ora l’atteggiamento delle istituzioni locali, è la storia di due anni di sfregio alla trasparenza e alla democrazia. Le questioni «formali» ancora irrisolte sono tante, dagli esposti presentati al Tar e alla Corte dei Conti all’istruttoria aperta in sede europea, solo per citare alcuni dei diversi contenziosi presentati da associazioni, da singoli cittadini e dal forte e combattivo Comitato No Ovovia che può contare su un consenso popolare che soltanto l’amministrazione comunale finge di non vedere.

IL CORPOSO E DOCUMENTATO DOSSIER che il Comitato ha stilato ha fatto saltare sulla sedia chiunque l’abbia letto, ma il sindaco ride: «Sono quattro gatti e io certo non cambio idea». Sono tutte le opposizioni presenti in Comune e in Regione, sono tutti quei cittadini, anche elettori di destra, che hanno garantito banchetti e volantinaggi. Quattro gatti che hanno visto lunghe file di gente sotto la pioggia a firmare per un referendum poi impedito con scuse risibili, che hanno portato in piazza decine di migliaia di persone, che hanno raccolto 30 mila euro in due giorni per pagare i ricorsi, tutti quelli che hanno chiuso le porte in faccia ai tecnici che volevano verificare le aree destinate agli espropri, i 3.500 che hanno protocollato osservazioni al Comune e quanti ogni giorno motivano il loro dissenso inviando lettere ai giornali.

LA RISPOSTA ISTITUZIONALE RASENTA lo stato d’assedio: la ditta incaricata di effettuare carotaggi lavora protetta da agenti antisommossa che chiedono i documenti a chiunque passa, magliette e bandiere No Ovovia compaiono dappertutto durante i giorni della Barcolana ma qualcuno viene diffidato o allontanato dalla famosa regata triestina. Diecimila volantini vengono distribuiti solo domenica 8 ottobre mentre una delle future cabine viene «inaugurata» dal sindaco tra fischi e slogan e poi resta nella piazza ben circondata da transenne, guardata a vista dalla polizia e da una telecamera dedicata. È, certo, un’occasione perché il Governo dimostri la promessa «oculatezza» nel valutare il reale interesse pubblico dei progetti del Pnrr.