L’Oleodotto Transalpino: 753 chilometri da Trieste alla Germania. Quasi completamente interrato, attraversa il Friuli Venezia Giulia, l’Austria e la Baviera per giungere a Ingolstadt. Due diramazioni verso Est e verso Nord Ovest conducono il greggio verso le raffinerie tedesche e ceche. Un’opera mastodontica che fornisce energia all’Austria, alla Repubblica Ceca e alla Germania meridionale. Gestore il gruppo TAL composto da tre società che operano nei Paesi attraversati – in Italia è la SIOT – mentre la compagine azionaria è composta dalle majors del settore petrolifero.

NEL GOLFO A SUD DI TRIESTE, si allungano in mare due pontili di quasi 500 metri dove quotidianamente attraccano le petroliere: più di 500 in un anno, ognuna porta una media di almeno 80.000 tonnellate di greggio. Dalle navi ai 32 serbatoi di stoccaggio, capacità totale di oltre 2 milioni di metri cubi, “forniti di tetto galleggiante e doppia guarnizione di tenuta” descrive SIOT che però sembrano servire a poco visto che tutta l’area e i borghi intorno sono costantemente ammorbati da un insopportabile odore di idrocarburi che spesso si spinge fino al centro di Trieste e che nessuno sa per certo se è veleno oppure no. Dai serbatoi i tubi chilometrici fino ai monti della Carnia che cercano di restare incontaminati e l’Alta Valle del Bût dove, per inciso, da cent’anni si produce energia rinnovabile in modo cooperativo.

LUNGO I 145 KM IN TERRITORIO italiano la SIOT ha avuto l’autorizzazione dalla Regione per il rifacimento di quattro stazioni di pompaggio e ne parla così: “quattro impianti di cogenerazione – a basso impatto ambientale e con livelli di emissioni ben al di sotto di quelli previsti dalle norme vigenti – indicati come fattori strategici dalla UE per raggiungere gli obiettivi di transizione energetica. SIOT-TAL ha scelto questa tecnologia, la migliore strategia per ridurre il proprio impatto complessivo, diminuendo in maniera sensibile il consumo di energia. Più efficienza energetica e quindi meno emissioni di CO2”. Qui SIOT non lo dice esplicitamente ma si tratta di impianti alimentati a metano.

SUBITO QUALCOSA FA ARRICCIARE il naso a molti: per il progetto, da ritenersi unico trattandosi di una unica condotta, sono chieste e concesse quattro autorizzazioni, una per ogni singolo impianto. Qualcuno sospetta il ricorso alla frammentazione perché così la potenza installata dei singoli cogeneratori è inferiore a 50 MW e quindi si bypassa la Valutazione di Impatto Ambientale. Sarebbe contra legem ma è purtroppo prassi sempre più diffusa. Il progetto SIOT viene messo sotto la lente di ingrandimento, si muovono gli ambientalisti ma anche tanta gente “E’ giusto che paghiamo sempre noi per questo oleodotto invasivo che qui non porta alcun beneficio?” Si tratta davvero di Cogeneratori ad Alto Rendimento? Dimostrare che non lo sono significa impedire a SIOT di trarne benefici economici – calcolabili in milioni di euro – perché i cosiddetti CAR possono accedere agli incentivi dei Titoli di Efficienza Energetica. Le Associazioni ambientaliste con i Comitati e i Movimenti locali si rivolgono all’Agenzia per l’Energia – organizzazione no-profit per lo sviluppo sostenibile – e alle Università di Udine e di Trieste. Il verdetto è chiaro: il progetto SIOT non determina risparmio energetico e soprattutto non c’è riduzione di emissioni climalteranti rispetto alla situazione preesistente. “Una storia di abuso, per “legittimi” interessi privati a scapito del capitale naturale e sociale dei territori e in direzione inversa al processo di Transizione Ecologica” denuncia Legambiente: SIOT smette di utilizzare una fonte energetica che attualmente è rinnovabile per il 38% per usare una fonte totalmente fossile con un consumo aggiuntivo di più del 5% dei consumi regionali del settore civile. Quei cogeneratori procrastineranno di anni la decarbonizzazione e aumentaranno le emissioni di CO2. Poca cogenerazione ma molto greenwashing, accusa Extinction Rebellion.

SULLA BASE DEI DATI RACCOLTI l’estate scorsa parte il crowdfunding e Legambiente, Comune di Paluzza (UD) e Movimento per la Difesa del Cittadino presentano ricorso al TAR. Sorpresa e rabbia a dicembre quando la Regione emette un nuovo decreto di autorizzazione, confermando peraltro il precedente, sottraendo così l’oggetto ai ricorsi. “La Regione ricorre a furbate legali e continua a fare il gioco delle multinazionali del fossile” accusa Fridays for Future mentre il TAR riconosce la necessità per i ricorrenti di presentare una variazione al ricorso e si limita a rinviare l’udienza.

“NEL 2023 LE RINNOVABILI HANNO soddisfatto il 37,6% della domanda elettrica nazionale. Una quota che diventa del 44,7% se la confrontiamo con la produzione elettrica domestica (senza scambi con l’estero). In prospettiva, l’ultima versione del Piano nazionale Energia e Clima stima che le rinnovabili coprano il 65% al 2030 del mix energetico. Mentre gli impianti di cogenerazione a metano continueranno a emettere per decenni gas climalteranti e frazioni di ossidi di azoto e polveri sottili” precisa Sandro Cargnelutti, Presidente regionale Legambiente FVG.

QUAL È IL VANTAGGIO per SIOT-TAL? Se ne parla durante una delle tante manifestazioni di protesta e in parecchi propongono la stessa spiegazione: il costo dell’energia elettrica è legato al costo del metano e il costo del metano lo fanno le compagnie petrolifere che sono proprietarie dell’oleodotto e della SIOT. Se devono acquistare dalla rete elettrica nazionale l’energia elettrica che gli serve per le pompe, devono pagare il prezzo alla rete. Se invece si producono l’energia elettrica col metano utilizzano una fonte che appartiene praticamente a loro. Così consumeranno il 100% di energia da fonti fossili ma il fossile è il loro business e quindi hanno tutta la convenienza a prevenire l’aumento delle rinnovabili e assicurarsi una utenza primaria che non diminuisca il consumo da fonti fossili.