Non sarà come con il “melone” di Manlio Cecovini, tuttavia le urne di Trieste sembrano proprio predestinate a una mareggiata. Nel 1978 la firma del trattato di Osimo innescò la “rivolta civica”, ma anche il 6% dei Radicali con Pannella («Sono sloveno…») in consiglio comunale insieme e a Giulio Ercolessi e Gianni Pecol. Oggi al centro dell’ex Alpe Adria sconfina l’esodo dei migranti ed evaporano i commerci con gli sciavi: nella Trieste europea serpeggia l’ammutinamento. E forse nemmeno lo show di Renzi aiuta a coltivare la certezza del secondo mandato da sindaco per Roberto Cosolini, 60 anni, ex giocatore di basket e funzionario Cna, assessore regionale al lavoro nella giunta Illy.

È già scontato che non basterà votare solo domenica. Gli ultimi sondaggi indicano un “ballottaggio aperto” il 19 e una gara all’ultima preferenza del candidato Pd con Roberto Dipiazza del centrodestra e Paolo Menis del M5S.

I campanelli d’allarme suonano implacabili, dentro e fuori il “cerchio magico” dell’alabarda dem. Più o meno inossidabile fin dagli anni ’90, per chi ha buona memoria. Ancora in grado di garantire una poltrona “indipendente” nel Cda di Hera, multiutility emiliana che ha incorporato AcegasAps, anche a chi ha appena incassato la condanna della Cassazione. È la sussidiarietà alla triestina: Franco Miracco, fedele portavoce del “doge” Giancarlo Galan, nominato assessore alla cultura da Cosolini; Il Piccolo diretto per anni nel solco degli interessi composti dal “corridoio 5”; sanità e Ateneo incistati dalla devozione ciellina.

Nel Pd, la conta dei consensi nelle urne non lascia sereni. L’ingovernabilità del partito – costretto dal senatore Francesco Russo alle primarie – è diventata la guerra dei “santini” con i candidati Pd che cestinano la propaganda altrui nel gazebo di piazza Borsa come nella sede di via XXX Ottobre. La coalizione originaria non esiste più, Cosolini è appoggiato solo da una parte di Sel: il capogruppo uscente Marino Sossi guida Si-Sinistra per Trieste e il presidente del consiglio Iztok Furlanic è il candidato sindaco di Sinistra Unita (Prc e Pcdi). E il verdetto del Sole24Ore sulla qualità della vita è imbarazzante: Trieste era prima nel 2009 ed è rimasta nelle migliori 5 città fino al 2012 prima di sprofondare al 28° posto.

Così riprende fiato l’anima nera con Forza Nuova e Alessia Rosolen, aspirante sindaco “patriota del futuro”. O con il pugile Fabio Tuiach, nella lista della Lega, indagato per istigazione all’odio razziale: ha condiviso l’immagine della Casa delle culture ebraiche sovrastata dal motto nazista del lager di Auschwitz. E con Giorgio Marchesich che rispolvera il “fronte indipendentista” nel frullato di storia, ideologia, miti.

Ma sulla scheda c’è anche Maurizio Fogar che imperterrito si batte per la chiusura della Ferriera, l’impianto che sforna ghisa nel quartiere di Servola con conseguenze inquinanti in stile Ilva di Taranto.

Trieste ha poco più di 200 mila abitanti, ma con più del 25% di Over 65 e la massima concentrazione di dipendenti pubblici dopo Roma. È la sede di Generali, la compagnia di assicurazioni terza al mondo per fatturato. Ospita il sincrotone Elettra, la Scuola internazionale di studi avanzati e il Centro di fisica teorica: ma dietro la vetrina di città della scienza spiccano le 3 mila richieste di sostegno al reddito appena registrate dal municipio.

Immancabile, lo scandalo finanziario che certo non giova al Pd di Serracchiani&Cosolini. Si tratta delle Coop Operaie di Trieste Istria e Friuli, nate nell’impero austro-ungarico nel 1903 che “inventarono” nel 1957 il primo negozio italiano self service. Un clamoroso fallimento decretato a dicembre con un buco da 130 milioni, che ha travolto soprattutto i 17 mila soci-risparmiatori: il loro libretto è diventato carta straccia, come le azioni delle banche popolari di Vicenza e Montebelluna.

Infine Trieste (e Cosolini) scommette sull’enorme quadrante del Porto vecchio, mezzo milione di metri quadri “restituiti” senza vincoli demaniali. Archiviato il mega-progetto da mezzo miliardo con la cordata fra Maltauro, Ezzani De Eccher, la Sinloc delle fondazioni bancarie e Banca infrastrutture, il “cuore asburgico” della città dovrebbe pulsare grazie al Museo del mare, alle biotecnologie e al food. È il “patto su Porto vecchio” siglato da Renzi con l’annuncio dei primi 50 milioni. Operazione comunque mastodontica, in cui il Comune è affiancato da Ernst&Young: giusto prima delle elezioni, l’advisor si è premurato di incontrare i possibili partner interessati a spalleggiare gli enti pubblici. Colloqui riservati con i manager di Generali, Fincantieri e Hera, per cominciare.