La notizia era nell’aria da giorni, ma solo ieri è diventata ufficiale: il Governo di Accordo nazionale (Gna) di Tripoli e l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar hanno raggiunto un «accordo di cessate il fuoco permanente».

L’intesa, siglata a Ginevra dal Comitato militare congiunto 5+5 (cinque rappresentanti del Gna e cinque dell’Enl) grazie alla mediazione della Missione dell’Onu in Libia (Unsmil), chiarisce però che lo stop ai combattimenti non si applicherà ai gruppi terroristici designati dall’Onu (Stato Islamico e al-Qaeda).

A DARE PER PRIMA la notizia del cessate il fuoco è stata ieri mattina l’Unsmil sui social: «È un accordo storico – scrive – che segna una svolta importante verso il raggiungimento della pace e della stabilità in Libia».

Se «svolta» è parola assai impegnativa, sicuramente quanto raggiunto nella città svizzera conferma che l’avvicinamento tra Tripolitania e Cirenaica è qualcosa di tangibile, non solo propaganda politica. Il primo segnale distensivo è avvenuto nella stessa giornata di ieri quando un aereo passeggeri è volato da Tripoli nella «nemica» Bengasi per la prima volta in più di un anno.

La bozza finale del testo – firmata non dai principali protagonisti del Gna e dell’Enl ma comunque da «personaggi autorizzati» dei due schieramenti – è divisa in due parti: principi generali (in cinque punti) e termini dell’accordo (in dodici). Nella prima sezione si sottolinea «l’integrità territoriale libica» e «la lotta comune al terrorismo». Più complessa invece la seconda parte in cui si parla di «cessate il fuoco immediato» che prevederà «entro tre mesi dalla firma dell’intesa» il ritiro dei gruppi armati da tutte le «aree di scontro».

Ma soprattutto si precisa che «tutti i mercenari e i combattenti stranieri devono lasciare i territori libici» e che «fin quando un nuovo governo unificato non assumerà le sue funzioni» gli accordi militari sull’addestramento «saranno sospesi e le squadre di addestramento dovranno andare via». Il riferimento è soprattutto alla Turchia attiva in Tripolitania per formare le forze alleate del Gna e che solo l’altro giorno annunciava il controllo della Guardia Costiera locale.

LE PARTI SI IMPEGNANO poi a «fermare l’incitamento all’odio mediatico», a porre fine agli «arresti politici» e ad aprire le strade e lo spazio aereo come già previsto negli incontri di Hurghada (Egitto) di fine settembre. L’obiettivo è anche aumentare la produzione di petrolio attualmente vicina a 500mila barili al giorno, ancora lontana dal potenziale di 1,2 milioni.

La notizia dell’accordo è stata accolta favorevolmente da tutta la comunità internazionale. Se la Germania ha parlato di «primo raggio di speranza dopo tanto tempo», l’Ue ha detto che l’accordo «è molto importante per la ripresa dei negoziati politici». Soddisfazione è stata espressa anche dal segretario della Nato Stolenberg che ha invitato però le parti ora a rispettarlo. Per Di Maio, invece, quella di ieri è stata «una giornata importante anche per l’Italia e l’intero Mediterraneo».

Unica voce fuori dal coro è stata quella del presidente turco Erdogan che l’ha definita «un’intesa non al massimo livello». Al “sultano” non sarà piaciuto quel passaggio sulla fine degli addestramenti da parte degli stranieri che potrebbe rappresentare un pericolo per gli interessi turchi nel Nord Africa.

PREDICANO CAUTELA però anche diversi analisti. Il direttore della rivista The International Interest, Sami Hamdi, ha infatti osservato come qualcosa di simile l’Onu l’ha raggiunto anche in Yemen con gli accordi di Stoccolma tra Houthi e governo di Aden. Alle strette di mano seguirono poco dopo di nuovo le violenze.