Sono anni che, specie grazie a il manifesto, insistiamo con la necessità di modificare la legge sulle droghe. Dal lancio del referendum online sulla cannabis abbiamo dimostrato la portata politica e il favore popolare della proposta referendaria.

Più di un milione e mezzo di visitatori al sito ReferendumCannabis.it e oltre 465.000 firme autenticate in quattro giorni sono numeri straordinari ma non sorprendenti. Dopo la incredibile mobilitazione nelle piazze per il referendum sull’eutanasia legale, è arrivata la controprova su un tema che la politica dei partiti considera «di nicchia», marginale, poco interessante. Questi numeri dimostrano, invece, quanto sia diffuso a livello sociale e culturale.

La cannabis è un tema prioritario per molti e non potrebbe esser altrimenti visto che viene usata abitualmente da sei milioni di persone. È un tema, come tanti, «sensibile». Ma non nel senso inteso dai Letta o Renzi di turno: è sensibile perché tocca – o ha toccato nel corso della vita – quasi la metà della popolazione adulta italiana!

Per sbloccare lo stallo politico e istituzionale serviva un segnale politico forte, grazie alla firma digitale – tra l’altro frutto di un ricorso di Mario Staderini a seguito di una campagna referendaria che articolava una depenalizzazione della cannabis nel 2012 – abbiamo resto immediatamente attivabile il «pieno godimento» dell’articolo 75 della Costituzione.

Con il gruppo di lavoro con cui abbiamo discusso quest’estate siamo consci dei limiti dello strumento referendario (che può solo abrogare leggi), e degli orientamenti che negli anni la Corte Costituzionale ha introdotto. Il quesito di quest’estate si pone in dialogo con la Corte e le sue sentenze facendo tesoro delle pronunce sull’ammissibilità dei referendum del ’93 e del ’96.

Ma da allora sono passati 25 anni. L’ondata proibizionista di Reagan e Craxi è finita come il «mondo senza droghe è possibile in 10 anni» dell’intrepido Pino Arlacchi. Proclami morti e sepolti insieme alle centinaia di migliaia di vittime e desaparecidos vittime della guerra alla droga. Nel 2016 l’Onu ha messo nero su bianco la flessibilità delle convenzioni e la possibilità per gli Stati di innovare: Uruguay, Canada, Giamaica, Messico e 19 stati Usa, la culla del proibizionismo, hanno scelto la regolamentazione legale della cannabis. L’Italia resta ferma alla Jervolino Vassalli di oltre 30 anni fa.

Il quesito prevede l’eliminazione del reato di coltivazione di tutte le piante. Tutte, mantenendo il reato per la fabbricazione, produzione e detenzione, condotte più che sufficienti per colpire chi non si coltiva la pianta di cannabis per uso personale. Anche l’hashish non rientra nella «mera» coltivazione. Si rimuove l’ultimo alibi nella legge che induce – nonostante la sentenza a sezioni penali unite della Cassazione – procure e forze dell’ordine a perseguire chi coltiva per uso personale.

Si interviene inoltre con l’eliminazione del carcere per la cannabis eliminando le pene detentive per le condotte poste al di fuori del sistema «autorizzativo» già presente nel Testo Unico, per, tra le altre cose, aprire la strada a una più completa regolamentazione legale. Infine, si chiede la cancellazione della sanzione amministrativa più applicata e afflittiva: il ritiro della patente. Questi tre ritagli rimuovono lo stigma verso chi usa una foglia oggi colpita con il ritiro della patente anche a piedi! O segnalate dopo una perquisizione in casa. Chiaramente rimane intatto l’art. 187 del codice della strada che colpisce la guida in stato alterato.

Quando abbiamo presentato il quesito in Cassazione il 7 settembre 500.000 firme in 20 giorni sembravano un’impresa quasi impossibile. Oggi sono una realtà. Il referendum è promosso dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione e Antigone. Alla proposta partecipano rappresentanti di +Europa, Possibile e Radicali italiani, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, Potere al Popolo e decine di gruppi.