Dopo l’intervento a gamba tesa del vice premier del governo di unità nazionale (Gna), Fathi Al-Mijibri, sull’invio della missione navale italiana, venerdì pomeriggio sono stati i libici ad esprimere la loro contrarietà a quello che leggono come un ritorno dal sapore coloniale: decine di persone sono scese in piazza a Tripoli, Tobruk e Sirte contro la missione italiana, hanno calpestato la bandiera tricolore e intonato slogan contro Roma.

Non c’erano le masse per le strade – con buona parte dei libici impegnata a sopravvivere tra la quasi totale assenza di servizi, blackout elettrici e scarsità di contanti – ma il clima che si respira è teso. Soprattutto per il primo ministro Sarraj, alle prese con un paese che non lo segue e autorità più o meno bene armate che si spartiscono la Libia.

Dopotutto Sarraj – imposto da fuori – non ha dalla sua alcuna milizia, a differenza di clan, tribù e fazioni politiche avverse. E di fronte ha il generale Haftar, sotto il quale si muovono almeno 30mila uomini.

La Farnesina getta acqua sul fuoco: se l’ambasciata a Tripoli parla di «fake news» in riferimento alle proteste, Roma definisce le uscite di Al-Mijibri «polemiche interne». Mere polemiche non sono: il vice premier, originario della Cirenaica e pronto in passato a porsi sotto l’ala di Haftar, può influenzare il frammentato Consiglio presidenziale e portarlo a sfiduciare il primo ministro.

L’unico soggetto al momento fedele all’intesa italo-tripolina è la Guardia costiera libera che ieri è tornata a incensare la missione navale: in un’intervista tv, il portavoce Qassem ha negato la violazione da parte italiana della sovranità del paese e definito le navi in arrivo un’opportunità per sviluppare le capacità interne nella lotta al contrabbando e all’immigrazione clandestina.

E se per ora la Francia, dopo il trilaterale organizzato da Macron a fine luglio, resta in silenzio, a tornare è la Russia. Venerdì Lev Dengov, capo negoziatore russo, ha annunciato l’intenzione di Mosca di organizzare colloqui intra-libici tra Haftar e Sarraj sul modello di quelli parigini che hanno fatto infuriare il governo Gentiloni.

«Stiamo trattando attivamente con i libici – ha detto Dengov – Alcune delegazioni hanno già visitato la Russia e dichiarato la loro disponibilità a tornare a Mosca e Grozny», ha detto Dengov.

Come Parigi, anche Mosca ha posizioni diverse da quelle italiane: da oltre un anno si è infilata nello scacchiere nordafricano garantendo appoggio al generale Haftar, in cambio di una futura base militare a Bengasi, pur mantenendo aperto il canale con Tripoli.

Non solo: Dengov ha aggiunto che Mosca intende riavviare i contratti commerciali stipulati con Gheddafi (costruzione di ferrovie, infrastrutture, reti elettriche) e ricordato il recente accordo tra il gigante russo Rosneft e la compagnia nazionale libica di greggio Noc. Business, proprio come Parigi che guarda al petrolio a basso costo della Cirenaica per toglierlo al monopolio Eni.