L’accavallarsi delle cronache sulla Cop 26 a Glasgow rischia a mio avviso di oscurare considerazioni di fondo che sono invece essenziali per avere una reale percezione della sostanza dei problemi.
È indubbiamente difficile mantenere un equilibrio fra i rischi di drammatizzare la situazione climatica e le aspettative di soluzioni efficaci, ma ritengo essenziale fornire elementi sostanziali. Se l’ultimo rapporto dell’Ipcc aveva lasciato aperta la prospettiva che rimangano margini per arrestare, o addirittura invertire, la crisi climatica, anche il rapporto del programma dell’Onu sull’ambiente non sembra fare la necessaria chiarezza. È senz’altro importante avvertire che i benefici di provvedimenti anche tempestivi non arriveranno prima del 2040, ma le osservazioni sulla necessità dell’«adattamento» occultano a mio avviso l’irreversibilità dei processi non solo innescati da tempo, ma aggravati in modi insostenibili (Giorgio Ferrari, il manifesto 12 agosto).

Sarebbe fuori luogo entrare nel merito dei meccanismi di irreversibilità in un sistema complesso e altamente non lineare quale è l’atmosfera terrestre, ma qualche cenno può chiarire tali aspetti. Nei giorni scorsi l’attenzione sull’accordo sulla deforestazione (se non fosse una reiterazione di accordi passati violati, Correggia, il manifesto 3 novembre) ha omesso il fatto che le foreste distrutte, oltre a deteriorare gravemente lo stato e la permeabilità dei suoli, modificano in modo permanente gli scambi termici, l’evaporazione, l’albedo. Similmente i ghiacci permanenti riflettono la radiazione solare molto più del terreno, o della superficie del mare che rimarrà scoperta, il ché aumenterà ulteriormente il riscaldamento dell’atmosfera.

Il riscaldamento globale inoltre sta indebolendo la Corrente del Golfo, la quale potrebbe cessare (o addirittura invertirsi) con conseguenze disastrose che alimenterebbero i processi innescati: come un rapido innalzamento del livello del mare verso la costa orientale degli Stati Uniti, per converso un raffreddamento delle regioni dell’Europa che si affacciano all’Atlantico.
Processi come questi si chiamano retroazioni (feedback), possono essere positivi (auto-rinforzanti) o negativi: nel primo caso, che è decisamente il più comune per l’atmosfera, essi amplificano l’allontanamento dalla situazione di partenza, e possono spingere il Sistema Terra verso soglie che, se superate, potrebbero impedire la stabilizzazione del clima ed aumentare il riscaldamento anche se le emissioni antropiche vengono ridotte.
Un sistema complesso, altamente non lineare, presenta delle soglie oltrepassate le quali il sistema evolve in modo assolutamente incontrollabile e imprevedibile.

I meccanismi di questo tipo sono innumerevoli, perché l’ambiente terrestre è un tutto, nel quale tutti gli spetti sono profondamente interconnessi. L’inarrestabile aumento delle aree urbanizzate e cementificate modifica profondamente il microclima, genera trappole di calore e inversioni termiche, oltre a polarizzare sulle città le produzioni e i consumi, in particolare quelli idrici, provocando squilibri in tutto il territorio. Con l’inarrestabile perdita di biodiversità la biosfera diventa sempre meno vitale e reattiva: scienziati autorevoli hanno denunciato il rischio che sia iniziata la sesta estinzione di massa.
Vi è poi la sistematica omissione dei consumi energetici e delle emissioni dovuti ai sistemi militari e dalle guerre. Il solo Pentagono è il primo consumatore e inquinatore singolo in assoluto in una graduatoria che include gli Stati: supera ad esempio le emissioni della Svezia.

Aspetti come questi dovrebbero essere la base di un’educazione ambientale, per una valutazione equilibrata fra pessimismo eccessivo e illusioni immotivate.