Ci sarà una riforma del Patto di stabilità e crescita, sospeso nel 2020 per il Covid e poi per la guerra in Ucraina, oppure il 1° gennaio 2024 tornerà in vigore il vecchio sistema, con regole rigide in realtà mai rispettate da tutti? Malgrado le intenzioni, il Patto di stabilità imposto alla fine degli anni ’90 non ha evitato l’esplosione dei debiti pubblici e si è rivelato un freno per la ripresa dopo la crisi del 2008. E oggi, con la guerra in Ucraina e la transizione climatica, le spese sono in aumento e il mega-prestito di 750 miliardi non è sufficiente.

PER IL MOMENTO, i ministri delle Finanze, dopo mesi di negoziato, non sono riusciti a trovare un accordo. All’alba di ieri, dopo 8 ore di discussione, si sono lasciati con l’impegno di rivedersi, intorno al 20 dicembre, per cercare una soluzione prima della fine dell’anno. La riforma del Patto non dovrebbe essere discussa al Consiglio europeo della prossima settimana, già problematico per la tensione sull’allargamento, i soldi all’Ucraina e l’aumento necessario del budget pluriennale Ue per far fronte agli impegni con Kyiv, per la restituzione del mega-prestito del Piano di rilancio e per compensare i miliardi sfumati a causa dell’inflazione.

La presidenza spagnola ha in mano una bozza di compromesso tra la Germania “frugale” e le “cicale” Francia e Italia, che propone un ritorno più lento agli equilibri di Maastricht, limitato però al periodo 2025-27. Poi, si dovrebbe riprendere la marcia verso il risanamento proposta dalla presidenza spagnola per non scontentare i “frugali”: ai paesi in debito eccessivo verrà imposto un deficit massimo dell’1,5% e un ritmo di riduzione dell’1% l’anno. La Francia insiste sulla necessità di riformare il Patto sul fronte degli investimenti: un ritmo meno pressante di riduzione della spesa pubblica se c’è la giustificazione di investimenti nei settori strategici, identificati precedentemente nella transizione climatica e per la difesa. L’accordo «è possibile» ha commentato nella notte il ministro francese Bruno Le Maire, resta «un disaccordo sul livello di flessibilità per i paesi in debito eccessivo» ha risposto il tedesco Christian Lindner.

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Ad aprile, la Commissione aveva proposto un ritorno ai criteri di Maastricht – massimo 3% di deficit e 60% di debito rispetto al pil – con un “adattamento” delle regole alle situazioni particolari dei singoli paesi, che dovrebbero tracciare una traiettoria del budget, con maggiori margini di manovra rispetto alle rigidità passate: un percorso su 4 anni per arrivare alla sostenibilità del debito, con la possibilità di allungare fino a 7 anni il periodo di aggiustamento del deficit. Il controllo sarebbe sull’evoluzione della spesa, una misura considerata da Bruxelles più pertinente che il calcolo del deficit. Ma la Germania aveva già chiesto uno zoccolo di uno sforzo minimo per i paesi con debito eccessivo, di almeno una riduzione dello 0,5% l’anno del deficit. La proposta della Commissione evita le multe pesanti per eccesso di debito del Patto di stabilità e gli aggiustamenti drastici che soffocano l’economia.

LA RICERCA di un accordo tra il fronte dei “frugali” e i paesi più indebitati (Italia e Francia in testa) è reso più difficile dalla crisi tedesca: il governo Scholz è paralizzato dalla sentenza della Corte di Karlsruhe, che ha dichiarato «incostituzionale» la manovra controversa che aveva permesso di aggirare le regole del “freno al debito”, destinando 60 miliardi di euro, che erano avanzati dagli stanziamenti speciali per la lotta al Covid, a un “fondo per la trasformazione e il clima”, per modernizzare e decarbonizzare l’economia.

LA GERMANIA si è intrappolata da sola, con il tetto allo 0,35% di debito, dopo aver allungato le briglie per il Covid e l’Ucraina, dal 2020 a oggi. La Corte costituzionale ha bocciato il tentativo di “finanza creativa” e adesso Scholz, alla testa di un governo diviso, va con i piedi di piombo a Bruxelles. Tanto più che i “frugali” hanno bocciato la richiesta della Commissione di aumentare di 66 miliardi il budget Ue 2021-27 e chiedono piuttosto tagli ai programmi, mentre l’Ungheria minaccia il veto sui 50 miliardi di finanziamenti per la ricostruzione dell’Ucraina (più 20 miliardi di aiuti militari).