Le immagini di Giorgia Meloni, sostenuta da un sorridente Crosetto, il gigante buono delle armi, che sale nella carlinga di un cacciabombardiere F35 mentre tanti bambini delle elementari sventolano bandierine nazionali gridando il suo nome e lei ricambia mandando baci e sussurrando «Vi adoro», con il ministro Tajani in uniforme, sembravano un fotomontaggio, una fake news. No, era tutto vero.

Il bel gesto è andato in scena al Pincio martedì scorso alla celebrazione dei 100 anni dell’aviazione militare italiana, fondata -allora regia – il 28 marzo del 1923 da Benito Mussolini che la volle «arma fascistissima»: è per questo che va celebrata dalla Repubblica antifascista che ripudia la guerra come da Costituzione? Finora ai presidenti del consiglio portavano l’ultima utilitaria da provare, adesso gli F35 fumanti.

Siamo nel clima della guerra russa in Ucraina, alla quale di fatto partecipiamo, ma non è detto che bisogna sopportare ogni provocazione del governo d’estrema destra. L’investimento negli F35 – arma micidiale, può portare testate atomiche ed è dotata del first strike, insomma proprio un’ «arma di difesa» – rappresenta un costo iniquo che precipita da tempo sul bilancio dello Stato per decine di miliardi, grazie anche a tanti governi di centrosinistra, e sulle nostre «bollette». Ognuno di quegli aerei costa molto più di 100 milioni di euro.

Se si aggiungono manutenzione e tecnologia sempre da aggiornare e in mano Usa. Davvero non sarebbero più utili per la sanità, i trasporti urbani, la scuola?

Già la scuola. Che una scolaresca romana sia stata coinvolta a festeggiare la presidente del Consiglio top gun – o italianissima «aquilotta» – è motivo di sdegno; ma è anche il coronamento di un lungo «movimento» con cui la Nato, i vertici militari e l’industria bellica hanno presentato come nuova estetica fiere di armamenti e basi militari, aprendo al concorso partecipativo delle scuole – e guai a quelle che ancora espongono la bandiera arcobaleno. Un’operazione di marketing che ha visto perfino bambini imbracciare armi d’assalto o allegri sui carri armati, come negli «avanzati» Stati uniti.

E veniamo alle celebrazioni dei 100 anni dell’aeronautica militare. Presentarli come periodo del trionfo di valori nazionali, dimenticando il ruolo spesso criminale contro i civili da parte della «nostra» aviazione in tanti conflitti, dalla guerra civile spagnola, ai bombardamenti aerei all’iprite sull’Abissinia, passando per sorvoli sull’Iraq e le bombe umanitarie sull’ex Jugoslavia, per arrivare al nefasto «muro di gomma» dei vertici dell’arma sulla strage di Ustica, e per approdare ai tanti «incidenti» nelle esercitazioni dove muoiono troppi giovani piloti, ma spesso insidiano il vivere civile (valga la tragedia del Cermis che dice il punto di vista degli altri aviatori sul Belpaese).

A proposito del ruolo delle scolaresche in questo tamtam di guerra, ricordiamo Casalecchio di Reno nel 1990, quando un jet militare precipitò proprio su una scuola uccidendo 12 ragazzi e ferendone 88. E pensare che nella storia dell’aviazione militare italiana c’è di che celebrare.

C’è stato infatti un aviatore che ha avuto il coraggio di battersi contro la «riforma» voluta dal generale Douhet sulla necessità che gli obiettivi diventassero non più solo militari ma anche civili. Era il generale Amedeo Mecozzi, morto nel 1971, romano di Borgo Pio, pilota di caccia e «asso» pluridecorato nella Prima guerra mondiale – quella dei combattimenti tra piloti; un generale che, contrario all’uso dell’aviazione contro i civili, diventò combattente per la pace, contro la guerra atomica, e che «sempre coerente contro la guerra agli inermi», così dedicava nel 1965 il suo saggio-testimonianza: «Agli equipaggi dell’aviazione da bombardamento in qualsiasi paese, che nel rischio e nel sacrificio personali compirono azioni terroriste, per una obbedienza sempre doverosa ma ad ordini dei quali è urgente che la coscienza dei popoli e dei governi respinga ogni giustificazione».

Dovrebbe essere celebrato nei 100 anni di storia dell’aeronautica miliare, invece è misconosciuto. Sicuramente da Meloni, Crosetto e Tajani. E, temiamo, non solo da loro.