Michael Cohen, l’uomo che per anni è stato l’avvocato e faccendiere di Donald Trump – il suo fixer -, ha cominciato la sua testimonianza nel processo penale contro il tycoon, accusato di aver commesso irregolarità finanziarie nel rimborsare lo stesso Cohen dei 130.000 dollari pagati alla porno attrice Stormy Daniels, per non rivelare la storia del suo rapporto sessuale con Trump nel 2006, compromettendone la campagna elettorale del 2016.

SONO 4 SETTIMANE che la testimonianza di Cohen aleggia sul processo: per anni ha saputo tutti i segreti di Trump, in particolare quelli più delicati in quanto, come ha detto in aula, il suo compito era «risolvere i suoi problemi, mettere a posto le cose, farlo felice».
Il racconto che arriva dall’aula è quello di un avvocato non particolarmente brillante, ma abbastanza di successo da poter acquistare appartamenti in due dei palazzi di Trump, e di farsi notare dall’ex presidente per il modo in cui aveva affrontato e risolto una diatriba nell’assemblea condominiale della Trump Tower. Da qui una discesa agli inferi: anche in aula Cohen racconta di non avere avuto scrupoli nell’usare ogni bassezza pur di risolvere i problemi di quello che più di un datore di lavoro era il suo mito, nella cui orbita era riuscito ad entrare, fino al punto da non avere mai bisogno di un appuntamento per incontrarlo, di avere tutti i suoi contatti e quelli dei suoi famigliari.

Nel 2007 Cohen, appena assunto, guadagnava 525.000 dollari l’anno. Quando gli è stato chiesto a chi doveva rendere conto, ha risposto: «Solo al signor Trump. Parlavamo ogni singolo giorno, più volte al giorno». E questo lo faceva sentire «come se fossi in cima al mondo».
Più volte durante la sua testimonianza Cohen ha descritto gli anni in cui ha lavorato per il tycoon come i più belli della sua vita, interrotti bruscamente nel 2018, quando è stato coinvolto nell’indagine sui rapporti tra il comitato elettorale di Trump e la Russia, ed è stato bruscamente scaricato dall’ex presidente.

SUL BANCO dei testimoni, Cohen era seduto a circa 3 metri da Trump, l’uomo per cui avrebbe «preso una pallottola», se necessario, e che ora vorrebbe vedere in carcere. Trump, ha detto Cohen, voleva disperatamente mettere a tacere Daniels, le cui affermazioni temeva sarebbero state un «disastro totale» per la sua campagna elettorale. «Le donne mi odieranno», era il timore di Trump a detta del suo ex fixer. Che ha poi raccontato di aver incoraggiato, cinque anni prima delle primarie repubblicane del 2016, Trump ad entrare in politica, ma che il tycoon era preoccupato delle indiscrezioni che sarebbero potute emergere su di lui: «Mi ha detto che molte donne si sarebbero fatte avanti». Per affrontare queste preoccupazioni, insieme a Trump l’avvocato incontrò l’editore del National Enquirer David Pecker, chiedendogli di pubblicare storie positive sul tycoon e negative sui suoi rivali, e di avvisarli di eventuali storie potenzialmente dannose giunte al tabloid. Pecker – il primo testimone del processo – ha mantenuto la promessa, parlando a Cohen di un portiere che stava diffondendo una storia secondo cui Trump aveva un figlio illegittimo. «Occupatene», gli aveva detto Trump. L’Enquirer ha così acquistato la storia per 30.000 dollari senza alcuna intenzione di pubblicarla.
La testimonianza è andata avanti senza mai scambi di sguardi fra Cohen e Trump, che è rimasto immobile con gli occhi chiusi per ore.

ALLE UDIENZE Trump arriva sempre con un entourage, e quanto più importante è il testimone, tanto più si affollano i banchi dietro l’ex presidente. Per Cohen i banchi dietro il tycoon erano pieni, vi sedevano tra gli altri il senatore Gop JD Vance e Tommy Tuberville, in aria di vicepresidenza. Al contrario di altre udienze, durante la deposizione del suo ex faccendiere Trump non ha fiatato, mentre Cohen tratteggiava un quadro che sembrava uscito dai Soprano in cui «il capo» non usa la mail perché «le sono come documenti scritti. Ci sono troppe persone che ’sono state incastrate perché i procuratori avevano accesso alle loro email’». Trump tutto sommato aveva ragione: il procuratore distrettuale che lo ha incriminato, Alvin Bragg, ha presentato risme di tabulati telefonici e email, e tramite quelli Cohen ha ricostruito una vicenda di cui Trump non poteva non essere a conoscenza, come invece sostiene.

PER ENTRARE ad assistere a quello che probabilmente sarà l’unico processo a Trump prima delle elezioni, di fronte al tribunale penale di New York c’è una fila di persone in coda anche dalle 3 del mattino. Un uomo dice di arrivare dal Maryland, una coppia dal Vermont «per vederlo cadere».
Nei sondaggi, però, il candidato repubblicano non è messo male: in quelli condotti dal New YorkTimes/Sienna risulta in vantaggio su 5 stati in bilico su 6. Sul presidente Joe Biden continua a pesare il calo dei consensi tra i giovani e gli elettori non bianchi, che lo criticano per l’appoggio ad Israele e per la sua inazione nei confronti del massacro a Gaza. Su Trump, invece, processi e incriminazioni non sembrano pesare per nulla.