Di recente diversi paesi europei hanno lanciato programmi per la creazione diretta di nuova occupazione. L’obiettivo è duplice: da un lato favorire la messa in atto di investimenti pubblici per sostenere la domanda di lavoro territoriale; dall’altro favorire la partecipazione degli attori sociali nell’individuazione dei bisogni e delle iniziative da sostenere per creare lavoro.
Programmi di questo tipo si stanno diffondendo in Austria, in Francia, in Belgio e di recente anche in Italia con la sperimentazione «Territori a disoccupazione zero» promossa dal Comune di Roma nell’ambito dei Fondi Pnrr destinati alla rigenerazione urbana dei quartieri Tor Bella Monaca e Corviale.

L’iniziativa austriaca è sperimentata a Marienthal, attualmente un quartiere di Vienna, celebre per essere stato oggetto negli anni Trenta della più importante (per l’epoca) ricerca sugli effetti sociali della disoccupazione. Marienthal era una tipica company town che si caratterizzava per la presenza di una sola e grande azienda che occupava la maggior parte della popolazione lavoratrice e la cui chiusura gettò sul lastrico l’intera comunità. La ricerca fu molto innovativa sul piano dell’analisi sociale. Ma il quadro emerso fu molto doloroso per l’assoluta mancanza di un significativo sostegno da parte del governo per ridurre la disoccupazione. Ben presto, infatti, la comunità, «stremata» come la definirono gli autori della ricerca, perse la fiducia nei dirigenti della propria parte politica (il sindacato e il governo socialdemocratico) e quando si presentò un’alternativa radicale – purtroppo quella nazista – aderirono ad essa. Questo esito – questo virare di settori significativi di classe operaia e di proletariato in generale verso partiti e movimenti di destra o populisti – è quello che si registra ora in diversi paesi europei compreso il nostro. E se la scelta non è razionale, bensì per molti versi autolesionista, ben comprensibili sono i motivi dello sbandamento: in sostanza la mancanza di una vera politica contro la disoccupazione.

Non a caso nella prefazione all’edizione inglese del libro Paul Lazarsfeld, uno dei tre autori insieme a Marie Jahoda e Has Zeisel, sottolineava una differenza di rilievo tra il modo in cui fu affrontata negli anni della grande depressione la questione della disoccupazione di massa in Europa e negli Stati Uniti. Qui con i piani di Roosevelt si riuscì a creare occupazione, a «togliere i giovani dalla strada» (secondo uno slogan dell’epoca) e a evitare situazioni come quelle di Marienthal per altro non uniche in Europa, in particolare in Inghilterra in quegli anni.

Il panorama del lavoro è oggi per certi versi analogo ma anche molto diverso rispetto a quegli anni. Molto diverse, ad esempio, sono le condizioni strutturali che stanno alla base della domanda di lavoro: non più una economia di produzione prevalentemente materiale ma economie di servizi, all’interno delle quali cresce sempre più il lavoro precario e mal pagato dei settori terziari deboli.

Nella visione dominante di oggi esistono due linee di interpretazione della disoccupazione. La prima è quella del mismatch che assume che esista una attiva domanda di lavoro e che i disoccupati restino tali perché non sono sufficientemente adeguati alle richieste del mercato. L’altra linea è quella del workfare che assume una indisponibilità dei lavoratori a offrirsi realmente sul mercato del lavoro preferendo il sussidio al salario. Questo è quanto sta succedendo ora in Italia dove l’intervento di modifica del Reddito di Cittadinanza sta assumendo torsioni punitive, salvo prevedere qualche corso di formazione che diventano, tuttavia, l’anticamera della successiva estromissione dal programma.

È in risposta a questi problemi che le recenti iniziative per la creazione diretta di nuova occupazione possono costituire una alternativa, tanto al workfare, quanto all’idea che il problema su cui intervenire sia solo il mismatch. È questo il caso del progetto di Marienthal e anche del programma francese Territoires zéro chômeur longue durée (TZCLD), a cui è ispirata la sperimentazione in fase di avvio a Roma. Ad oggi più di 60 progetti territoriali sono in corso di realizzazione in Francia, tra piccoli e grandi centri, compresa Parigi che ha di recente lanciato una apposita sperimentazione. E non è solo questo il punto.

In Francia il progetto è stato accompagnato dalla costituzione di un Fondo nazionale che non si limita solo a promuovere partenariati territoriali, ma anche a garantire che il lavoro creato sia decente e pagato almeno al livello salario minimo legale. Non è questo l’unico modo per assorbire la nuova disoccupazione fatta di sottoccupazione e precarietà lavorativa ma è certo un modo per legare politiche sociali e politiche occupazionali nelle aree di crisi attraverso la partecipazione democratica.