Israele condanna la decisione presa dall’Unesco, nella sua riunione a Riyadh, di designare le rovine risalenti al IX millennio a.C. di Tell es-Sultan a Gerico, nella Cisgiordania sotto occupazione militare, come «Sito parte del patrimonio mondiale in Palestina». Per il ministero degli esteri israeliano si tratterebbe di «Un altro cinico segno dell’organizzazione e della politicizzazione dell’Unesco». L’archeologia è uno dei campi di battaglia preferiti da Israele che, nel 2011, si era opposto all’accettazione della Palestina come Stato membro dell’Unesco. Per questo la decisione di Riyadh è sentita come una sconfitta. Tell es-Sultan è il quarto sito storico-archeologico palestinese in Cisgiordania a ricevere il riconoscimento ufficiale. Ma è il primo ad aver ottenuto questa designazione attraverso il protocollo standard dell’Unesco anziché quello di emergenza, come era stato per la Città Vecchia di Hebron e i terrazzamenti del villaggio di Battir (Betlemme). In precedenza, la Città Vecchia di Gerusalemme era stata riconosciuta come parte del patrimonio mondiale dopo che la Giordania ne aveva proposto l’inclusione. Anche in quel caso le proteste israeliane furono veementi.

Gerico è una delle più antiche città abitate ininterrottamente e si trova in quel 14% della Cisgiordania che formalmente è sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). E Tell es-Sultan risale ad almeno 10.000 anni fa. La presenza di terreno fertile e il facile accesso all’acqua favorirono la costruzione di insediamenti da parte di comunità antichissime. Gli archeologi hanno rinvenuto resti umani e manufatti risalenti al periodo neolitico. Così come reperti dell’età del bronzo che indicavano una pianificazione urbana. In breve, il sito mostra, con le sue numerose stratificazioni, le prove di una società continua e variegata nel corso dei millenni. L’Unesco ha descritto Tell es-Sultan come «parte integrante del patrimonio palestinese di eccezionale valore umano».

Un riconoscimento atteso da tempo spiega la studiosa e storica dell’arte Carla Benelli che, con progetti locali e internazionali, da oltre venti anni lavora nei siti cisgiordani. «L’Università La Sapienza (con l’aiuto della cooperazione governativa italiana, ndr) sta scavando questo luogo di eccezionale importanza da diversi anni in collaborazione con il Dipartimento palestinese delle antichità. La città era già stata scavata da archeologi tedeschi alla fine dell’Ottocento e successivamente dalla archeologa britannica Kathleen Kenyon che lì ha perfezionato lo scavo stratigrafico segnando un traguardo per la storia dell’archeologia». Ma nei Territori occupati la politica da decenni modella anche la storia ad uso e consumo dei suoi interessi. «Siamo di fronte a un sito di grande importanza per tutta l’umanità ma gli israeliani mantengono la loro posizione, polemizzano e rifiutano la designazione fatta dall’Unesco» aggiunge Benelli «citano il racconto biblico che si riferisce a Gerico come la prima città conquistata dagli Israeliti i quali, con l’Arca dell’alleanza e le trombe, ne avrebbero fatto crollare le mura». Ma il racconto biblico, sottolinea la studiosa italiana, «non è mai stato confermato dai ritrovamenti archeologici, anzi proprio gli scavi hanno chiarito che è fondato su miti».

Malgrado non pochi docenti universitari e studiosi israeliani abbiamo messo in guardia dal considerare storico e scientifico il racconto biblico, milioni di cittadini ebrei e non poche formazioni politiche, a cominciare da quelle al potere, guardano alla Bibbia come a una sorta di trattato internazionale, non discutibile. Nelle ultime settimane, esponenti della destra israeliana hanno fatto del loro meglio per fermare l’Unesco. I deputati riuniti nel gruppo Terra d’Israele, tra i quali l’ex speaker della Knesset Yuli Edelstein e Simcha Rothman (uno dei teorici della contestata riforma giudiziaria in discussione in Israele) hanno accusato l’Anp di negare la storia ebraica in Cisgiordania e l’accesso dei coloni israeliani ai siti ebraici. Gerico, hanno scritto, è menzionata nella Bibbia 53 volte e ciò dà a Israele il primato sulla città o, meglio, su Tell El Sultan. Al contrario Emek Shaveh, una ong di archeologi israeliani che si oppone alla politicizzazione dell’archeologia, ha commentato che le proteste «giungono da un mondo ultranazionalista che considera il popolo ebraico e lo Stato di Israele gli unici legittimi eredi della terra biblica di Israele dal fiume al mare. E che cita un racconto biblico che ha poco a che fare con la ricerca storica o archeologica».