Più voci prevedono il fallimento dei colloqui ripresi ieri dopo cinque mesi a Vienna per il rilancio del Piano d’azione congiunto globale (Jcpoa), l’accordo del 2015 sul programma nucleare dell’Iran, firmato da Russia, Francia, Regno Unito, Germania, Ue, Stati Uniti e Tehran. E forse non hanno torto. Perché resta intatto l’ostacolo principale: le sanzioni Usa imposte a Tehran dopo che Washington si era ritirata dagli accordi nel 2018 per decisione dell’allora presidente Donald. L’Iran ha ribadito più volte che il suo primo obiettivo a Vienna è ottenere l’abolizione di tutte le misure punitive che colpiscono la sua economia, a cominciare dall’esportazione del petrolio, e aggravano le condizioni di vita della sua popolazione.

«Il principale obiettivo di questo negoziato è ristabilire i diritti della nazione iraniana e la rimozione di tutte le sanzioni imposte in modo unilaterale ed extraterritoriale sull’Iran dagli Usa», ha scritto il ministro degli esteri iraniano Hossein Amirabdollahian in un lungo articolo pubblicato ieri dall’agenzia Irna. Qualche giorno fa il suo braccio destro, il viceministro degli esteri Ali Bagheri Kani aveva polemizzato con europei e statunitensi. «Noi abbiamo fatto la nostra scelta – aveva sottolineato – ora l’Occidente deve pagare il prezzo per non aver mantenuto gli impegni presi sul nucleare (nel 2015)». «L’importante – ha poi aggiunto – è che gli Stati Uniti vengano ai colloqui con l’intenzione di risolvere le questioni legate alle sanzioni. In tal caso, la strada sarà facile».

Gli Usa a Vienna ci sono andati – rappresentati da Robert Malley, l’inviato speciale per l’Iran – ma non agiranno come tutte le altre delegazioni. Tratteranno con la controparte iraniana tramite la mediazione degli altri rappresentanti occidentali. Anche la linea di Tehran si è irrigidita, in particolare dopo l’elezione a presidente del falco Ebrahim Raisi. L’Iran rifiuta il faccia a faccia diretto con Washington a causa della sua uscita unilaterale dall’accordo e delle sanzioni approvate da Trump che Joe Biden non ha revocato dopo il suo ingresso nella Casa Bianca. Chi invece crede nelle possibilità della trattativa e proclama che farà il possibile per farla andare in porto è l’Unione europea che nel 2015 fu determinante per il raggiungimento del Jcpoa. «La piena attuazione del Jcpoa è l’unica via per la comunità internazionale di avere rassicurazioni sul nucleare. La diplomazia è l’unica strada» ha detto ieri un portavoce della commissione Ue sottolineando che l’attuale l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell, «farà di tutto per riportare l’accordo in carreggiata». La fine parziale o totale del regime di sanzioni Usa contro l’Iran è vista a Bruxelles anche come una opportunità per i paesi membri dell’Unione di riallacciare importanti rapporti economici con Tehran.

In Europa non tutti marciano nella stessa direzione. La Gran Bretagna dopo la Brexit ha avvicinato ulteriormente la sua posizione a quella di Israele – unico paese del Medio oriente a possedere (in segreto) l’arma atomica e non ha firmato il Trattato di non proliferazione – che insiste sul pugno di ferro contro Tehran ed è nettamente contrario ad intese sul programma nucleare dell’Iran. «Lavoreremo notte e giorno per impedire al regime iraniano di diventare una potenza nucleare», hanno scritto il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid e la collega britannica Liz Truss, in un articolo pubblicato sul Daily Telegraph. Lapid e Truss ieri a Londra hanno firmato un memorandum di intenti sulla cooperazione strategica fra i due paesi. Nelle stesse ore il premier Naftali Bennett ha tuonato contro l’Iran: «Pochi giorni fa un alto dirigente militare di Tehran ha detto che l’Iran non rinuncerà alla distruzione di Israele».

L’Iran respinge le accuse di Tel Aviv e Londra e ripete che i suoi scopi sono pacifici e non militari. Ha però ha aumentato dopo il 2018 le proprie scorte di uranio arricchito (al 60%) fino a raggiungere le 2 tonnellate e mezzo, 12 volte oltre le soglie previste. Dati che creano tensione nei rapporti con l’Aiea, l’agenzia per l’energia atomica, che chiede un maggior accesso alle centrali iraniane.