«Quando ho saputo che il primo ministro Hariri ha regalato 16 milioni di dollari a una bella straniera sono impazzito, non potevo crederci. Lui butta via milioni di dollari e a noi, che siamo alla fame, fa pagare tasse su tutto, anche su Whatsapp». Marwan Hajje, un manifestante, raccontava ieri a un giornale online locale alcune delle ragioni che lo hanno portato, assieme ad altre migliaia di libanesi, a scendere in strada per chiedere le dimissioni del governo e dell’intera classe dirigente.

CHE IL PREMIER ABBIA AVUTO, come si dice, una relazione con la modella sudafricana Candice Van Der Merwe e che le abbia davvero donato quei milioni di dollari è ancora da accertare. Di sicuro c’è che questa storia unita al provvedimento, poi revocato, di una tassa persino sull’uso di Whatsapp e a tante altre misure impopolari, è stata per i libanesi la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
«Ladri dimettetevi, andate via», urlano da giovedì i manifestanti. La misura è colma, spiegano quelli che in questi giorni incuranti dello schieramento delle forze di polizia e della pioggia di lacrimogeni che li ha investiti, hanno alzato barricate, dato fuoco a pneumatici e cassonetti dei rifiuti. Proprio i rifiuti lasciati a marcire ovunque in un paese tra i più inquinati al mondo, furono nel 2015 il motivo di enormi manifestazioni popolari che andarono avanti per giorni, senza riuscire a cambiare molto.

 

La bandiera libanese sul volto di una donna in piazza Riad al-Solh (Afp)

 

Anche questa protesta senza bandiere di partito, in giro si vedono solo quelle libanesi, pare destinata a continuare e ad espandersi. Da Beirut ha già raggiunto Tripoli, Sidone e ha toccato anche il sud del Paese controllato da Hezbollah e dall’altro partito sciita, Amal, che di solito non sono accusati di corruzione e spreco di denaro pubblico. Nella città a maggioranza sciita di Nabatiyeh, venerdì i manifestanti hanno rimosso poster del deputato di Hezbollah Mohammed Raad e urlato «Ladro, dimettiti» a Nabih Berri, il capo di Amal e speaker del parlamento da decenni. Così come le foto di Hariri sono state bruciate nella sua roccaforte di Tripoli.

«È UNA PROTESTA CONTRO tutta la classe politica, è la disperazione dei libanesi che non sanno più come andare avanti» ci spiega Sonia Grieco, giornalista italiana che vive e lavora da alcuni anni a Beirut, «il costo della vita è insopportabile. La gente chiede lavoro, una migliore istruzione, servizi, e contesta le misure di austerità adottate dal governo per risanare il debito pubblico e che penalizzano solo i più poveri e non l’élite. La tassa su Whatsapp è solo l’ultima e neppure la più importante delle cause della rabbia popolare».

Una delle misure più odiate è l’aumento dell’Iva, del 2% nel 2021 e di un altro 2% l’anno successivo, che raggiungerà il 15%. Colpirà in particolare i consumi primari. La popolazione inoltre paga e non riceve servizi pubblici essenziali. I tagli quotidiani dell’energia elettrica sono la regola persino a Beirut, la sanità pubblica è allo sfascio, le scuole sono fatiscenti, l’assistenza sociale inesistente, rifiuti e scarti di ogni genere ricoprono i quartieri popolari di ogni città. Un degrado che non coinvolge le zone residenziali dove vivono i più abbienti. E questo accresce la rabbia di chi fa fatica a sfamarsi.

Hariri venerdì non si è dimesso ma ha dato un ultimatum di 72 ore ai partner di governo: accettate il mio piano di riforme per sanare l’economia o mi dimetto. «I libanesi sono delusi, non hanno capito questo strano ultimatum che il premier sembra aver dato a se stesso. E non credono che possa esserci un cambiamento repentino della situazione. Fare previsioni su cosa accadrà ne i prossimi giorni è difficile ma le proteste sembrano destinate a continuare», aggiunge Sonia Grieco.

La rabbia potrebbe degenerare in violenza diffusa e la reazione della polizia in quel caso sarebbe durissima, come si è visto in situazioni simili del passato. Le cariche dei reparti antisommossa hanno già fatto 60 feriti tra giovedì e venerdì. Due lavoratori stranieri sono arsi vivi nell’incendio accidentale di un edificio durante le proteste.

IL CLIMA RESTERÀ INCANDESCENTE perché realizzare le richieste dei manifestanti è irrealistico a fronte della situazione disastrosa dell’economia che, secondo la Banca mondiale, vedrà il Pil scendere di un altro 0,2% entro la fine dell’anno. Il Libano ha il terzo debito più elevato al mondo, pari a circa 86 miliardi di dollari ossia il 150% del suo Pil. Ridurre il debito pubblico è l’impegno dichiarato del governo e l’economia non potrà crescere a sufficienza e generare i posti di lavoro necessari per ridurre la disoccupazione reale che viaggia intorno al 40%.

Un altro pericolo è dietro l’angolo. Senza alcun colore politico le proteste popolari potrebbero essere sfruttate da certi partiti per colpire gli avversari e guadagnare consensi. Non sono passate inosservate le dichiarazioni del leader delle Forze libanesi (destra) e nemico della Siria, Samir Geagea, che invita il premier sunnita Hariri a dimettersi e a porre fine a un governo in cui Hezbollah, alleato di Damasco, avrebbe un potere eccessivo.

Il ministro degli Esteri Gebran Bassil, della Corrente dei patrioti liberi alleata di Hezbollah, ha replicato avvertendo che il Libano andrà verso la catastrofe se qualcuno proverà a sfruttare con fini politici la protesta popolare.