Nel boato esploso alle 22:30 locali nel quartiere generale di Doug Jones a Birmingham, Alabama, c’era tutta l’emozione repressa di un anno di sconfitte per i democratici. Alla fine la vittoria più clamorosa è arrivata dal luogo più improbabile, il cuore repubblicano del sud integralista, dall’Alabama.

NELL’ELEZIONE SPECIALE indetta per sostituire il senatore repubblicano Jeff Sessions elevato a ministro di Giustizia di Trump, il candidato democratico è prevalso per un soffio su Roy Moore, un oltranzista creazionista che aveva elogiato lo schiavismo ed è arrivato al seggio a cavallo, in completo da cowboy. I 20 mila voti di disavanzo pesano come un macigno in uno stato «profondo rosso» (dal colore che nelle elezioni americane designa i distretti repubblicani) che non eleggeva un democratico da 25 anni. E dove peridpiù Trump era apertamente sceso in campo a favore del perdente.

Certo Moore era una un caso a sé – accusato di molestie sessuali e violenza carnale da almeno 7 donne, alcune delle quali minorenni all’epoca dei presunti fatti – era stato criticato da molti esponenti del suo stesso partito compresi i vertici repubblicani a Washington. Non da Donald Trump però che ha esortato gli elettori a votare per uno che «in senato voterà sempre con noi». E ancora di più sostenuto Steve Bannon stratega dell’«insurrezione populista» di Trump che a ha attraversato l’Alabama in lungo e in largo a favore di Moore.

 

La tristezza dei supporter di Roy Moore dopo la diffusione dei risultati elettorali (foto LaPresse)
La tristezza dei supporter di Roy Moore dopo la diffusione dei risultati elettorali (foto LaPresse)

 

DICE MOLTO che fino alla vigilia, malgrado tutto, fosse ancora favorito Moore, un teocratico che teorizza il rispetto letterale di precetti biblici (e per questo è stato rimosso dall’incarico di giudice federale), un creazionista anti gay, anti abortista, favorevole alla schiavitù. Il candidato cioè in maggiore sintonia con gli elettori del Bible Belt, il sud integralista in cui maggiormente fioriscono razzismi e dove più sovente viene applicata la pena di morte. Sulle storiche dinamiche regionali si sono di recente sovrimposte quelle del populismo trumpista che hanno portato ad esempio alla conflagrazione filonazista Alt-right di Charlottesville l’estate scorsa.

L’INTEGRALISMO RELIGIOSO è un pilastro del movimento conservatore soprattutto da Reagan in poi. Storicamente gli estremisti teocon sono stati sfruttati e poi relegati a frangia estrema dalla dirigenza corporativo-finanziario repubblicana. Trump, agnostico, libertino, mondano newyorchese e vedette dalla tv reality, ha strumentalizzato più di ogni altro il linguaggio integralista per proprio profitto politico, fomentando le culture wars e istigando il risentimento della “pancia” fondamentalista del paese che la sua amministrazione ha dotato di potere senza precedenti, ora anche su scala globale. Il «riconoscimento» di Gerusalemme, ad esempio è stata un’”offerta” all’elettorato integralista evangelico per cui rappresenta il compimento delle profezie millenariste, proprio alla vigilia della strategica elezione in Alabama.

 

 

Felicità per la vittoria di Doug Jones (foto LaPresse)
Felicità per la vittoria di Doug Jones (foto LaPresse)

 

PER QUESTO LA VITTORIA di Jones, la conquista democratica di una roccaforte inespugnabile come l’Alabama, rappresenta uno smacco clamoroso per il presidente e il Gop la cui maggioranza in senato si riduce ora a 51-49. Di certo è alto il valore simbolico di una vittoria che rappresenta uno spiraglio di luce per un partito ancora in crisi dalla disfatta presidenziale. Con la vittoria, costruita sui voti dei giovani e degli afro americani, torna a dare segnali di vita quella che fu la Obama coalition.

E dato il contributo fondamentale del voto femminile afro americano l’elezione sancisce infine la centralità della “questione femminile” e della violenza maschile confluita pienamente dallo scandalo hollywoodiano alla politica. Un altro segnale inquietante per Trump mentre riaffiorano le accuse di dozzine di donne nei suoi confronti.

NELL’AMERICA POST-ALABAMA vacilla un po’ di più l’ultracorpo insinuatosi nella Casa Bianca e tira, per un giorno, un sospiro di sollievo il paese della società civile e dell’ampia maggioranza popolare anti trumpista. Rimane ancora molta strada da fare prima delle elezioni del 2018 che potrebbero ristabilire nel congresso un’equilibrio sufficiente a frenare la “decostruzione” trumpista della democrazia americana. Ma dall’Alabama è giunto intanto un primo importante segnale.