Uscita definitiva dal carbone, al massimo, entro il 2038, chiusura delle otto centrali più obsolete già alla fine di dicembre, e un’autentica pioggia di miliardi per i gestori degli impianti sotto forma di risarcimento per spese e mancati introiti.

Anche e soprattutto grazie ai soldi che arrivano dal Green Deal appena varato da Bruxelles, che trasforma la Germania nel maggiore beneficiario dei fondi europei per il Clima insieme alla Polonia.

Sono i termini dell’accordo chiuso ieri nel cuore della notte tra il governo Merkel e i Land dipendenti dal combustibile fossile più inquinante. Valido «fin da subito e in modo vincolante», verrà sottoposto al voto del Bundestag al più tardi prima della pausa estiva.

NEL DOCUMENTO controfirmato dal vicecancelliere e ministro delle Finanze Olaf Scholz, e dalla ministra Spd dell’Ambiente Svenja Schulze emerge la “distrazione” dal bilancio federale di ben 2,6 miliardi di euro a beneficio delle imprese energetiche negli Stati dell’Ovest e 1,7 per i gestori dell’Est legati a doppio filo all’estrazione di lignite. Purché chiudano gli impianti entro la fine di questo decennio.

«Sono stati negoziati molto duri e dal mio punto di vista perfino troppo lunghi, ma il risultato dell’accordo è buono: la Germania sarà il primo Paese a uscire dal nucleare e dal carbone su base vincolante» tiene a precisare la ministra Schulze. Mentre il ministro Cdu dell’Economia, Peter Altmaier, fedelissimo della cancelliera, “copre” l’iter parlamentare dell’apposita legge: «Verrà presentata in Aula già alla fine del mese»

LA SVOLTA DI FATTO è epocale: nel 2019 il carbone ha rappresentato il 19,8% del mix energetico della Bundesrepublik (era oltre quota 24% lo scorso biennio) mentre il patto con i gestori delle centrali ultra-inquinanti viene siglato nel momento in cui la Germania è alle prese con la crescita più bassa dell’ultimo lustro, e la crisi dell’industria minaccia il settore dei servizi.

Merito della pressione dei movimenti ambientalisti: da Fridays for Future, Greenpeace e Germanwatch pronti a denunciare il governo alla Corte costituzionale, ai Verdi che nei sondaggi occupano stabilmente il secondo posto dopo la Cdu della cancelliera Merkel.

Ma contano, almeno altrettanto, i 40 miliardi per la decarbonizzazione annunciati dal governo ad agosto 2019 e la nuova leva finanziaria dell’Unione europea che sembra davvero avere cucito il «Fondo per la transizione» ambientale di 7,4 miliardi a misura di Berlino.

Il cronoprogramma della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen appena approvato dal Parlamento prevede di ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030. Collima perfettamente con «l’anticipo» immaginato ieri dalla ministra tedesca dell’Ambiente che mira a forzare le tappe della carbon-exit della Germania.

«Si potrebbe uscire già entro 15 anni se i due fact-check previsti nel 2026 e nel 2029 confermeranno le tappe della dismissione graduale» riassume Schulze.

Si traduce in parte con la chiusura già il 31 dicembre di otto vecchie centrali di proprietà prevalentemente della Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk (Rwe) di Essen, che possiede la miniera di Garzweiler: l’impianto a cielo aperto più inquinante d’Europa.

In cambio il ministero delle Finanze risarcirà i gestori energetici nell’arco di tempo fissato in 15 anni, mentre impianti come Datteln-IV lungo il Reno che sta completando il rodaggio del ciclo del carbone di “ultima generazione” rappresenterà la soluzione-tampone fino all’uscita definitiva.

UN COMPROMESSO. In grado comunque di condannare a morte sicura, tra le altre, le vecchissime centrali dell’Est in Sassonia, Sassonia-Anhalt e Brandeburgo quanto gli obsoleti impianti in Renania: verranno dismessi tra il 2028 e il 2034. Il futuro in Germania è «la massiccia espansione di energia eolica e solare» scandisce la ministra della Spd. Per questo la scorsa estate il governo ha approvato la «legge strutturale» che destina 14 miliardi di euro alle regioni minerarie della Lusazia nell’Est (cui andranno oltre il 40% dei fondi) e alle aree estrattive dei Land centro-occidentali.