Un flop certificato, un altro in arrivo. La riforma del Reddito di cittadinanza del governo Meloni colleziona bocciature, confermate dai primi numeri che la ministra Marina Calderone ha finalmente fornito.

Dopo le denunce dei ritardi per la partenza dell’Assegno di inclusione – il sussidio pesantemente tagliato che sostituisce il Reddito di cittadinanza per le famiglie composte interamente di «non occupabili» – è stata convocata in fretta e furia una conferenza stampa per correre ai ripari e far credere invece di essere «in anticipo sui tempi previsti del primo gennaio».

«Da oggi è operativa la piattaforma per nuclei familiari con condizioni di fragilità, alle ore 13 erano già state presentate 40 mila domande», esordisce soddisfatta Calderone.

SEMBRA UN DEJA VU del 30 agosto, giorno in cui fu presentata la stessa piattaforma per lanciare il Supporto alla formazione, l’assegno di soli 350 euro per 12 mesi non rinnovabili agli «occupabili» che stanno frequentando un corso di formazione. Quel giorno Calderone annunciò: «Oggi non daremo nessun numero». Tre mesi e mezzo dopo, la ministra rende finalmente pubblici i dati sulle domande ricevute. Se il ministero stimava in 240 mila – altre fonti ne davano almeno 350 mila – le persone occupabili che sarebbero rimaste senza sussidio, ieri Calderone ha per la prisvelato le cifre: «Sul Supporto alla formazione abbiamo ricevuto 140 mila domande di cui (solo, ndr) 70 mila da parte di ex percettori di Reddito di cittadinza». Alla domanda su quale fine avessero fatto i 170 mila ex percettori che non hanno fatto domanda, Calderone ha risposto imbarazzata: «Potrebbero non avere più bisogno di un sussidio».

LA VERITÀ È CHE MOLTI sono stati scoraggiati dalla complessità della procedura telematica, fatta di acronimi e passaggi che sono perfino più complicati nel caso dell’Assegno di inclusione (Adi): oltre al Patto di attivazione digitale (Pad) a essere tutta campata in aria è la «presa in carico dei Servizi sociali» dei Comuni con «primo appuntamento entro 120 giorni e successivamente ogni 90 giorni» (se il richiedente non si presenta, l’Adi viene subito sospeso) per arrivare «alla sottoscrizione di un «Patto per l’inclusione» propedeutico a un «Patto di servizio personalizzato» (Psp) per un «Programma di politiche attive» (Ppa), senza dimenticare «Progetti utili alla collettività» (Puc).

Inoltre il governo, di fronte alle denunce di ritardi dei soggetti che organizzano corsi di formazione, continua a non dire quante domande sono state accolte e quanti sussidi sta pagando.

NON È MANCATO UN ATTACCO a Bankitalia, che nei giorni scorsi ha sostenuto come il nuovo Assegno di inclusione ridurrà la platea di beneficiari da 2,1 a 1,2 milioni, ovvero di ben 900 mila in meno, mentre ogni famiglia prenderà in media 1.300 euro in meno l’anno (il limite è di 6 mila euro l’anno, alzabile a 7.560 in caso di sostegno all’affitto) garantendo un risparmio al governo Meloni di 1,7 miliardi l’anno.

Calderone ha contestato i numeri di Banca d’Italia: «Non sono affatto convinta dell’analisi fatta: non si è guardato agli strumenti e alla riforma introdotta con i due nuovi strumenti. A inizio 2023 avevamo 763mila nuclei familiari percettori di Reddito di cittadinanza in condizione di fragilità, quella è la nostra platea per l’Adi», ha concluso.

Dopo la conferenza stampa, Calderone ha incontrato i sindacati. «Un incontro deludente e senza risposte adeguate – commentano le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Maria Grazia Gabrielli – . Il dramma della povertà non può essere risolto cancellando una misura di welfare universale, come il Rdc, e introducendo l’Adi, una misura categoriale con cui si decide di dividere chi sostenere nella difficoltà e chi no, non in base alla situazione economica, ma in base allo stato di famiglia e dalla quale restano escluse troppe persone e nuclei».