Sulle trivelle i 5Stelle tentennano: «Bisogna cambiare la normativa»
No triv Intervista a Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale all'Università di Teramo, tra i fondatori del movimento: «Sono mesi che il ministro dello Sviluppo economico Di Maio non decide sui procedimenti amministrativi già avviati per il rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione»
No triv Intervista a Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale all'Università di Teramo, tra i fondatori del movimento: «Sono mesi che il ministro dello Sviluppo economico Di Maio non decide sui procedimenti amministrativi già avviati per il rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione»
«Dopo anni trascorsi a ribadire la propria contrarietà, a organizzare i “No triv day”, a gridare “Giù le mani dal nostro mare!”, a scendere in piazza contro lo Sblocca Italia, oggi Luigi Di Maio tentenna… sulle trivellazioni». Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale all’Università di Teramo, tra i fondatori in Italia del movimento «No Triv», non risparmia i 5Stelle che, secondo lui, non sanno come districarsi nel caos… degli idrocarburi. Non bastano proclami, fa presente Di Salvatore, «occorre intervenire per cambiare la normativa. È questo il punto nevralgico dell’intera questione». Che il governo gialloverde e, in particolare, i pentastellati non abbiano le idee chiare in merito lo dimostra il fatto che dal giorno del proprio insediamento Di Maio evita di prendere posizione. «Sono mesi – osserva Di Salvatore – che il ministro dello Sviluppo economico non decide sui procedimenti amministrativi già avviati per il rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione: infatti, sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi che viene mensilmente pubblicato ci sono solo proroghe e richieste di proroghe di concessioni già date». In parlamento, invece, nessuno dei Cinque stelle si è ancora preso la briga di depositare uno straccio di progetto di legge.
«Se si vuole risolvere il problema delle trivellazioni e porre rimedio ad un guazzabuglio giuridico che dura ormai da anni, – incalza Di Salvatore – occorre mettere mano all’intera normativa: modificare lo Sblocca Italia, la legge 9 del 1991, la legge 234 del 2004. Bisogna recuperare il progetto di legge sul cosiddetto “Piano delle aree”, che depositammo in Parlamento durante la scorsa legislatura con l’avallo dello stesso M5s, affinché si arrivi ad una razionalizzazione delle attività di ricerca e di estrazione nel nostro Paese. Occorre intervenire sulle proroghe automatiche dei titoli. C’è da ripensare l’intero “modello” e favorire la transizione energetica. Il problema delle trivellazioni non può essere ridotto ad un problema di soldi».
Di recente, Di Maio è stato a Potenza per sostenere la candidatura alla presidenza della Regione di Antonio Mattia. In quell’occasione, ha dichiarato: «Finché le royalties andranno fuori Regione, non ci saranno nuove autorizzazioni petrolifere». Poche parole che però la dicono lunga. «Dove dovrebbero andare le royalties?», chiede Di Salvatore, che spiega: «Le royalties che vengono versate (pari al 7 o al 10% del valore di quanto estratto) sono così ripartite: allo Stato il 30%, alle Regioni il 55% e ai Comuni che ospitano i pozzi il 15%. In relazione alle estrazioni in Basilicata, tuttavia, lo Stato non trattiene per sé niente e la quota statale è versata interamente alla Regione che percepisce, dunque, l’85%. Se poi Di Maio intende dire che il problema sia quello di aumentare le royalties e che fino a quando ciò non avverrà non firmerà nuove autorizzazioni, osservo che sta praticamente dicendo “sì” a nuove concessioni e non “sì” all’innalzamento delle royalties per concessioni già esistenti. In ogni caso – ribadisce il docente – sia per innalzare l’entità delle royalties, tra le più basse in assoluto, è vero, sia per non rilasciare nuove autorizzazioni occorre una legge o un atto avente forza di legge che il suo governo dovrebbe adottare. Sulla base di quale atto normativo, infatti, Di Maio decide di non pronunciarsi sulle richieste presentate dalle società petrolifere e, dunque, di “sospendere”, di fatto, i procedimenti in corso? In relazione ai principi che sorreggono l’azione amministrativa, non decidere equivale ad esporre lo Stato ad una valanga di ricorsi dinanzi al giudice amministrativo». Insomma, politica vuol dire decidere in un senso o nell’altro e assumersene la responsabilità. «Non può voler dire non modificare la normativa vigente sulla quale poggia il rilascio dei permessi e delle concessioni e, al tempo stesso, – chiude Di Salvatore – non pronunciarsi sul rilascio dei permessi e delle concessioni. Non decidere può, nell’immediato, non scontentare nessuno, né le multinazionali, né i cittadini, né gli attivisti. Ma alla lunga finirà per scontentare tutti».
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