A ottobre a Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, l’alleanza progressista ha vinto le elezioni comunali. Stiamo parlando delle principali città italiane, aree metropolitane in cui le contraddizioni e i problemi nazionali hanno qui una ricaduta visibile. Senza alcuna superficiale retorica sui territori, visto che nei territori si trova di tutto dalla solidarietà al corporativismo, la domanda è: nella confusa situazione politica nazionale possono queste esperienze, pur diverse nella loro composizione, aiutare la costruzione di un’alleanza in vista del voto politico da qui ad un anno? Credo sarebbe utile, a patto però di partire dalla concretezza dei temi e delle scelte, quelle a cui è chiamato quotidianamente chi governa le città. Certi contenuti esprimono immediatamente una cultura politica e non si possono governare le principali città senza un profilo culturale ed ideale. E’ un segno dei tempi che la destra sembra lo capisca più della sinistra, persa troppo spesso in una logica amministrativa senza anima.

Ma con l’amministrazione si gestisce l’esistente, per governare serve appunto altro. Serve mettere al centro questioni, scelte che danno il segno concreto, tangibile di un’identità e di una differenza, altrimenti prevale l’indifferenza, prospera l’astensionismo, cresce la destra.  Ne cito una: dal 2014 in Italia vige una norma, l’Articolo 5 del Decreto Lupi che, in omaggio alla neolingua orwelliana si intitola beffardamente “Misure urgenti per l’emergenza abitativa”. Ebbene, si vieta la residenza a chi per necessità occupa un immobile a fini abitativi. Significa molto semplicemente negare i diritti fondamentali della persona: non si può usufruire del medico di famiglia, del pediatra e di tutti i servizi di welfare locale; del diritto di voto; di iscrizione alla scuola materna e all’asilo nido; ai centri per l’impiego. Tutti ricordiamo quando l’elemosiniere di Papa Francesco riattivò i contatori della luce allo Spin Time a Roma, un palazzo occupato dove risiedono 400 famiglie. Fece quel gesto umanitario, come ebbe a dire, perché senza iscrizione anagrafica non si può avere l’allaccio di acqua, luce, gas.

Succede in un Paese che invece di investire nell’edilizia residenziale pubblica, siamo agli ultimi posti in Europa e con oltre 600.000 domande in graduatoria inevase per mancanza di alloggi, colpisce chi non riesce a trovare un’abitazione e occupa per disperazione immobili abbandonati riadattandoli.

Salvini nel 2019 da ministro degli Interni, nella sua ossessione xenofoba, l’ha estesa ai richiedenti asilo che pure hanno il permesso di soggiorno. Siamo di fronte ad una norma ingiusta, odiosa, discriminatoria che produce illegalità e sofferenza. Associazioni laiche e cattoliche in questi anni ne hanno chiesto l’abrogazione; in tanti comuni, Palermo tra tutti, i sindaci l’hanno sospesa. Allora, quei valori di solidarietà e giustizia che proclamiamo dobbiamo farli vivere nell’azione di governo, rimettendo in discussione una retorica della legalità che in questo caso è contro la giustizia e i diritti della persona. Si vince effettivamente sul piano politico quando si è vinto su quello culturale e simbolico.

E la testimonianza, diversamente dal luogo comune che la contrappone alla politica, fa parte della buona politica: testimoniare con scelte e comportamenti ciò che si dice. E’ una risorsa non un peso. Per questo sarebbe importante che dai sindaci di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, per l’importanza che rivestono, venisse un messaggio culturale, politico, ideale differente sospendendo l’Articolo 5, permettendo l’iscrizione anagrafica e facendosi protagonisti insieme alle tante realtà della società civile affinché quella norma sia abrogata. Sarebbe per Roma e per il Paese il modo migliore per avviarci al Giubileo nel suo significato originario e più autentico: di riconciliazione con chi è più debole e ha più bisogno.

* Segretario Sinistra Italiana Roma Metropolitana