La centrale Enel, la Portovesme Srl, Euroallumina e l’ex Alcoa, ora Sider Alloy. In poche centinaia di metri, quattro stabilimenti con oltre mille posti di lavoro diretti a rischio, senza considerarne quasi altrettanti negli appalti.

L’autunno rende Portovesme ancora più desolato. La mancanza di una politica industriale a Roma e a Cagliari sta mandando all’aria buona parte del lavoro del Sulcis Iglesiente.

MENO DI UN MESE FA la mobilitazione a Portoscuso con i sindaci del territorio a denunciare una situazione insostenibile e a fortissimo rischio. Ma nel frattempo le cose sono perfino peggiorate.

«Alla Sider Alloys 22 tempi determinati non sono stati riconfermati e 10 lavoratori della Tecnoproget che portavano avanti il revamping della produzione sono stati licenziati», racconta Bruno Usai, storico delegato della Fiom che dal 2009 porta avanti la battaglia per l’ex Alcoa.

Oggi l’azienda guidata dall’ad Giuseppe Mannina, un trader che lavorava con il gigante Glencore ma che non ha mai dato la sensazione di stabilità finanziaria, ha 350 lavoratori in mobilità in deroga e solo 120 riassunti. Il problema è sempre lo stesso del 2017, quando subentrò alla multinazionale americana dell’alluminio: le garanzie bancarie e i fondi per completare l’investimento.

«Mannina sostiene che solo avendo tutti i 160 milioni necessari può far ripartire la produzione ma tra banche e mancanza di certificazioni green per avere i fondi che il ministero dell’Imprese sostiene che possa prendere, tutto è bloccato», continua Usai.

L’altro storico problema della Sardegna è quello energetico. Il costo troppo alto del Kwh è stata la scusa per le chiusure delle multinazionali. Oggi la promessa è «la dorsale del metano» che necessita però di un approdo al Sud mentre nel 2028 dovrebbe arrivare il mitico collegamento sotterraneo dalla Sicilia. «Porterà energia prodotta con il carbone – spiegano tutti – mentre qui la centrale Enel che va anch’essa a carbone sarà spenta il 31 dicembre 2025, senza essere riconvertita».

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PERFINO PEGGIORE la situazione della Eurallumina. «Il 31 dicembre scadrà la cassa integrazione straordinaria per noi 195 lavoratori – denuncia Francesco Garau, dipendente e segretario della Filctem della Sardegna – . L’Addendum fra l’azienda e il governo per l’uso del gas non è ancora stato firmato a Roma: non era mai successo. Se non lo sigleranno, saremo tutti licenziati». Lui era già lì nel 2009 quando arrivò la fermata da parte della multinazionale russa Rusal della raffinazione della bauxite e della produzione di allumina: «Allora eravamo in 442, oggi siamo 195. Nel frattempo sono stati avviati tanti progetti, come la depurazione dell’acqua di falda ma che dà lavoro a sole 20 persone. Solo con l’arrivo del gas, ne useremo il 35% del miliardo di metri cubi previsti per la Sardegna, e dell’energia termica potremmo riprende la produzione, anche se serviranno almeno 18 mesi», commenta poco speranzoso.

La partita più grossa è invece quella della Portovesme Srl. Dopo la lotta degli operai che a febbraio sono saliti sulla ciminiera a 100 metri di altezza, si è dovuto attendere fino al 27 ottobre perché fosse firmato l’accordo per dodici mesi di cassa integrazione straordinaria per i 527 lavoratori diretti.

Giovedì però è arrivato un brutto segnale. L’azienda ha comunicato che il progetto pilota Li Demo non si farà a Portovesme ma in un altro insediamento industriale fuori dall’Italia. Oltre alla mancanza di politica industriale ci si è messa anche la lungaggine burocratica della giunta Solinas per la Valutazione di impatto ambientale.

I sindacati sono preoccupati che lo stesso succeda con il progetto definitivo sul litio che la multinazionale Glencore continua, per ora, a confermare. «Sarebbe la fine di Portovesme».