L’appuntamento con la Storia cade in un fatidico sabato di febbraio a mezzogiorno: il primo viaggio con il Tav in val Susa, in partenza da Porta Susa, stazione torinese trasformata da casetta tardo ottocentesca a mega galattico edificio in vetro che accoglie il traffico dei treni ad alta velocità che attraversano Torino.

Il Tav, Treno Alta Velocità, c’è già. Non c’è da aspettare altre decadi per salirci, niente scontri e manifestazioni, basta madamin e adunate la domenica mattina a Torino per reclamare a gran voce il diritto al progresso: basta fare il biglietto e si parte.

QUESTA È LA STORIA DI UNA non storia, ovvero di un viaggio su un Frecciarossa 1000 – il più bello, il più avanzato, il più veloce – lungo una tratta dove non dovrebbe esistere. Un territorio che nella percezione collettiva, grazie a certosino e pluriennale lavoro di mistificazione, ha assunto le forme di una mescolanza tra la Siberia e il Far West: un luogo isolato e vissuto da bizzarre popolazioni devote a Ned Ludd, montanari che, come disse la madamin vestita d’arancio solo un anno fa, «Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli, dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente, ma che lascino vivere noi». Magari la signora non lo sa ma anche lei da qualche settimana ha la possibilità di andare fino in cima alla val Susa con un Frecciarossa 1000. E nel 2020 tutti coloro che sentiranno l’urgenza di correre a prendere l’aperitivo a Parigi potranno farlo sempre in Alta Velocità Trenitalia: Milano-Parigi, passando da Torino.

MA TORNIAMO AL NOSTRO viaggio nella valle che si oppone al «progresso» e che così isola l’intera economia italiana. Ogni fine settimana si ha la possibilità di raggiungere la località turistica di Bardonecchia, dove la corsa termina prima del traforo del Frejus e quindi della Francia. Tunnel nella montagna storico, progettato e realizzato grazie a Cavour, diventato ingenerosamente simbolo dell’obsolescenza tecnologica del patrimonio ferroviario italiano.

SI PARTE ALLE DODICI E DIECI da Porta Susa, puntuali. Il treno è in arrivo da lontano, da Napoli: un vero servizio ad alta velocità che collega il sud con il nord. Si procede nel silenzio e ci si immette lungo la «linea storica», locuzione che nel tempo ha preso un significato unico: desueta, moribonda, scassata. «Io penso straparli chi racconta oggi che la linea storica tra Francia e Italia va bene. E come se dicesse che gli asini volano»: a dirlo fu il già commissario straordinario per la Torino-Lione Paolo Foietta, appena un anno fa. Lui intendeva il tunnel del Frejus per le merci, però anche quelle passano già. Scorrono i paesi del fondo valle al di là del finestrino. Collegno, Alpignano, Avigliana e così via, in un ambiente che mescola campi di grano, villette e capannoni industriali. Il viaggio in sé non ha nulla di emozionante, e non si ha nemmeno la percezione della velocità con cui si attraversano i boschi che si susseguono. È chiaramente un linea che si sviluppa in una montagna fortemente antropizzata, perché cammin facendo si possono vedere, parallele, la poco distante autostrada e la statale: si intravede perfino il cantiere di Chiomonte dove è stato scavato un tunnel geognostico, oggetto di scontri furibondi. Ma probabilmente non c’è chilometro di questo percorso che non sia associabile a un punto da cui scaturisce il ricordo di una contestazione, una marcia, una protesta.

IL TRENO IN SÉ È CONFORTEVOLE e silenzioso, un lusso se rapportato ai treni che solitamente passano da queste parti. Non c’è la folla, ma non è nemmeno deserto, numerosi sono i turisti recuperati lungo lo stivale che vogliono raggiungere le piste da sci della Via Lattea. D’altronde, da quanto si capisce indagando sul Tav in Val Susa, si tratta di una linea «commerciale» ancora in fase di test: per capire l’effetto che fa e decidere se dargli un futuro internazionale, come pare sarà. Nonostante che il tunnel di base sia lontano dalla sua realizzazione. Scorrerebbe quest’ultimo quasi ottocento metri al di sotto di dove siamo noi, parallelo ma nel cuore della montagna per quasi sessanta chilometri. Ad una velocità maggiore di quanto andiamo en plein air indubbiamente, ma anch’essa lontana dalle potenzialità di un Frecciarossa 1000. Nessuna barricata interrompe la corsa, nessun autoctono si pone lungo la linea che si dipana prima in una larga pianura poi nelle gole da cui si possono godere mirabili panorami alpini e spettacolari fortezze.

SI DIRÀ: MA NON PROSEGUE verso la Francia a causa del tunnel antiquato, «una mulattiera di montagna» come disse qualche pasdaran del tunnel di base. Eppure, probabilmente già quest’anno, i tempi di percorrenza del Torino-Parigi e del Torino-Roma saranno concorrenziali. Senza dimenticare che Tgv francese corre da Milano a Parigi e ritorno da molti anni. Ovviamente il tunnel di base taglierebbe ulteriormente i tempi, ma qui torna in mente la famosa «valutazione costi benefici» redatta dal ministero dei Trasporti nel 2018, che certificava quanto il maxi investimento nella nuova linea sia sproporzionato.

DOPO LE GOLE DELLA PARTE centrale della valle, si giunge a Oulx, paese di mezza valle da cui partono i migranti che affrontano la Rotta Alpina: ma questa è un’altra storia. La stazione è raccolta, in pietra, sulla banchina si accalcano gli sciatori in attesa dei treni regionali che li riporteranno a Torino. La neve, poca e spazzata dal vento, copre a chiazze il vasto fondo valle dove spuntano le baite e i primi alberghi dalle insegne colorate. Un territorio che sta facendo i conti con il cambiamento climatico che mette a rischio le stazioni sciistiche al di sotto dei duemila metri. E poi via per gli ultimi chilometri percorsi lesti lesti ancora in un paesaggio boscoso, circondato da aguzze vette innevate che superano i tremila metri, direzione Bardonecchia, dove si giunge dopo un’ora e quindici minuti di viaggio in perfetto orario. Rispetto a un treno regionale vengono «guadagnati» una manciata di minuti. «Io non lo sapevo che la Tav arrivava in val Susa», provoco la mia vicina di sedile. Che conferma: «Manco io, pensavo fossero più isolati da queste parti». Ma pensa un po’.