L’attuale isolamento del governo Meloni nella trattativa sui «Top Jobs» europei ha spinto ieri il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti a protestare al tavolo del Consiglio dei governatori del «Meccanismo europeo di stabilità» (Mes) a Lussemburgo. «Abbiamo subito un trattamento assolutamente sbagliato – ha detto Giorgetti – Una conventio ad excludendum dettata da un atteggiamento pregiudizievole nei confronti dell’Italia, paese fondatore e di primaria importanza che riserverà delle sorprese positive in futuro».

LA SCELTA DELLE PAROLE, dettate da una fonte ministeriale, è rivelatrice: dopo avere promesso mari e monti nella campagna elettorale per le europee il governo scopre ora che non sta toccando palla sulla composizione dei ruoli apicali della Commissione a quello del Consiglio Europeo. Accade, quando non sei in una maggioranza che dovrebbe sostenere, almeno in prima battuta, il secondo mandato Von Der Leyen. Tranne Forza Italia, né i Fratelli di Meloni, né i leghisti giorgettian-salviniani fanno parte della maggioranza popolare-socialista-liberale.

NON C’È UNA «CONVENTIO ad excludendum» contro l’Italia, ma solo il fatto che le destre leghiste e postfasciste non sonoin una maggioranza che sembra essere destinata a fare politiche ancora più di destra. Ciò non toglie, che all’Italia non spettino altri ruoli, a cominciare dalla scelta di un commissario. Il problema è quale. E quali saranno le priorità politiche nei prossimi anni. Di certo il governo userà le sue carte sulle «politics». Quelle sull’immigrazione, e sulle deportazioni nei paesi terzi. E poi ci sarà la difficile trattativa in salita sulle politiche di bilancio e sulla procedura di infrazione che è partita mercoledì. Ma per ora si sta giocando un’altra partita. Le destre italiane avevano promesso addirittura di «cambiare l’Europa». Ieri hanno confermato che il loro disegno politicistico non è affatto scontato.

IL DIVERSIVO DI GIORGETTI ha avuto una duplice finalità: il ministro ha voluto dimostrare che tutto ciò che accade a Bruxelles influisce su tutto il resto. Ma soprattutto ha voluto prendere tempo sul Mes. Il governo Meloni è messo all’angolo dai partner europei. Per questo parla d’altro. Anche perché la maggioranza italiana, lo ha confermato ieri Giorgetti, non ha alcuna intenzione di approvare il trattato. L’Italia è l’unico paese a non averlo fatto.

OGGI SCADONO i sei mesi di pausa previsti dal regolamento della Camera nel caso di una bocciatura parlamentare della ratifica di un trattato. È accaduto a quello del Mes nel dicembre scorso. Ieri, il pressing su Giorgetti è tornato ad essere alto. Il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe ha invitato di fatto l’Italia a ratificare il trattato. «Altrimenti – ha detto – sarebbe una perdita collettiva». Lo ha fatto anche la direttrice del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva: «Sarebbe saggio avere il Mes disponibile se ci fosse un altro shock».

GIORGETTI ha lanciato un ballon d’essai. Ha detto di avere gradito la relazione di Pierre Gramegna, il direttore esecutivo del Mes il quale ha parlato della possibilità di un’altra revisione del Mes che non gode di buona reputazione tra gli esponenti italiani. E ha ipotizzato che il trattato potrebbe anche occuparsi di altre finalità. Il governo vorrebbe cambiarle subito e poi eventualmente ratificarle, invertendo le priorità attuali. Si tratterebbe di cambiare il ruolo di paracadute che il Mes fornirebbe al «Fondo di risoluzione unico» (Fsr) finanziato dalle banche dell’Eurozona. Una prospettiva che interesserebbe a Francia e Spagna, ma non a Germania, Austria e Finlandia. Giorgetti si è aggrappato a una simile possibilità e ha cercato di tessere una tela. Gramegna ha detto di essere «in modalità cooperativa» e ha chiesto a Giorgetti di «dire quali sono le sue intenzioni».

TRA LE INTENZIONI di Giorgetti, ieri, c’era una duplice richiesta: aiutarlo a cambiare una narrazione sul Mes che lega le mani al governo. E poi quella di ricevere «considerazione» a Bruxelles. Non per fare un «baratto», né per proporre un «do ut des». Quando si è con le spalle al muro si ricorre sempre al vecchio detto: «Lei non sa chi sono io»