«Dall’alba del 24 agosto al 7 settembre sono stati registrati 6mila eventi sismici, il principale di magnitudo 6, poi uno di 5.3 e undici eventi superiori o uguali a 4» racconta Paola Montone, ricercatrice dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che mercoledì sera ha aperto la sessione dedicata al terremoto del centro Italia, nell’ambito del Congresso della Società geologica italiana che si chiude oggi presso la Federico II di Napoli. «Si tratta di un movimento unico in direzione nordovest-sudest, la terra si è aperta in due zone: sotto Accumoli, con danni maggiori, e sotto Norcia – spiega – . La sismicità è ancora in corso perché nell’area nulla è più in equilibrio, l’attivazione di questa faglia potrebbe mettere in moto anche le faglie confinanti».

L’Ingv sta raccogliendo i dati sul campo, informazioni fondamentali per il lavoro di ricostruzione dei centri abitati: «È una delle zone a più alto rischio sismico in Italia – conclude -. Il terremoto speculare è quello del 1.639 ma comunque riflette le caratteristiche proprie dell’Appennino Centrale: movimenti estensivi perpendicolari all’asse della catena. I meccanismi sono simili a quelli delle sequenze sismiche di Norcia nel 1979, Colfiorito nel 1997 e L’Aquila nel 2009. Per ricostruire negli stessi luoghi è necessario farlo con molta attenzione a tecniche e materiali».

 

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  La messa in sicurezza dei centri abitati è l’emergenza principale. Cosa è successo all’alba del 24 agosto lo ha raccontato mercoledì Paolo Galli, del Servizio sismico della Protezione Civile: «Abbiamo visitato 193 località, la zona intorno all’epicentro è caratterizzata da tanti piccoli centri, alcune frazioni hanno appena cinque o sei case. La distruzione che abbiamo trovato è pari solo a quella del terremoto dell’Irpinia del 1980. I tre centri più colpiti sono stati Amatrice, Petrana e Pescara del Tronto: il sisma ha raggiunto l’undicesimo grado della Scala Mercalli. In altri quattro centri è arrivato al decimo». Lo studio delle macerie dà indicazioni per il futuro: in molti casi i tetti di cemento armato, posti sopra le costruzioni in muratura o in pietra, sono franati sulle pareti distruggendo gli edifici; i mattoni forati di nuova generazione invece hanno retto anche quando erano case ancora in costruzione.

Secondo i rilievi fatti dal Nucleo interventi speciali dei Vigili del fuoco, il 74% di caserme e chiese e il 64% delle abitazioni risulta crollato o gravemente lesionato. Nelle 49 frazioni di Amatrice sono 153 i palazzi completamente crollati, 116 gravemente danneggiati, 133 rimasti in piedi, solo 14 case sono classificate «prontamente ripristinabili». Dai crolli è venuto fuori anche un dato storico: «Da una delle pareti esterne di una casa di Amatrice è caduto l’intonaco così è venuta alla luce la lapide posta a ricordo del sisma del 1639. Un evento di cui non si è tenuto conto fino quasi a scordarsene. Eppure – conclude Galli – le rilevazioni fatte dalla Mappa Tiberi, redatta nel Seicento per avere i risarcimenti post terremoto dallo Stato pontificio, sono assolutamente sovrapponibili a quelli effettuate oggi».

Resta il problema dei cedimenti, come racconta Marco Amanti dell’Ispra: «Abbiamo effettuato 256 interventi, soprattutto frane e strade interrotte. Martedì alle 22.30 sono precipitati massi sulla Salaria: un’ora prima e un’ora dopo si sono verificate scosse, situazione peggiorata anche dalle piogge. Pericoli arrivano anche dalle macerie accumulate: non possono essere rimosse perché costituiscono rifiuto speciale ma abbandonate in cumuli rischiano di innescare nuove frane».