Un mese fa gli studenti della UCLA a Los Angeles si univano al movimento nazionale contro la strage a Gaza e per il disinvestimento degli atenei americani da aziende del complesso militare finanziario che sostiene l’arsenale di Netanyahu. La tendopoli pacifista inaugurata il 25 aprile ha raggiunto presto centinaia di tende e gli studenti hanno intrapreso un intenso programma di sensibilizzazione, didattica alternativa, sit-in, proiezioni e militanza contro la guerra. Nella notte del primo maggio l’accampamento è stato brutalmente assalito da squadre organizzate di picchiatori filoisraeliani sotto gli occhi delle forze dell’ordine che non sono intervenute ed hanno lasciato che gli assalitori i dileguassero. In seguito, la polizia ha caricato gli studenti, arrestandone più di 200 ed una dozzina di docenti solidali. Nessun fermo o denuncia è invece stata convalidata nei confronti dei violenti.

Da allora il movimento ha adottato un formato fluido di azioni quotidiane e didattica militante in corsi tenuti all’aperto, denominati “People’s University”. Giovedì scorso il rettore uscente, Gene Block, è stato convocato dinnanzi alla commissione parlamentare per le attività antisemite, istituita dalla Camera per diffondere la falsa equivalenza fra movimento studentesco e discriminazione contro gli Ebrei. Al Congresso, Block si è scusato per non aver rimosso più rapidamente l’accampamento studentesco.

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Contemporaneamente alla sua testimonianza, per protesta, gli studenti hanno iniziato a montare un nuovo accampamento nel cortile del Kerkhoff Hall, il centro studentesco. Dispersi dalla polizia hanno attuato cortei interni nella vicina facoltà di filosofia. Dopo alcune ore di tensione i reparti antisommossa questa volta si sono ritirati. Gli studenti promettono invece di continuare con ogni mezzo la lotta finché non verranno accolte le loro richieste. Da martedì verranno affiancati dagli assistenti universitari che dopo il campus di Santa Cruz, scenderanno in sciopero anche a UCLA e UC Davis. Sempre la scorsa settimana Harvard ha confermato la sospensione di tredici studenti che avevano partecipato alla protesta nell’ateneo più prestigioso del paese. Harvard è una delle università dove gli studenti avevano raggiunto un accordo con l’amministrazione, levando le tende in cambio dell’impegno a “riesaminare” i propri investimenti. Successivamente tuttavia l’ateneo ha impedito ai tredici studenti sospesi di conseguire la laurea. In risposta i compagni hanno disertato in massa la cerimonia di laurea ed organizzando una cerimonia alternativa fuori dal campus.

La cifra del movimento studentesco rimane una profonda dissociazione provocata dalla strage di gaza nella politica e nella società americana. La frattura è innanzitutto generazionale con gli studenti che rifiutano di rimanere in silenzio dinnanzi all’obbrobrio perpetrato da Netanyahu con l’assistenza militare del loro paese. Il dato più impressionante è l’imponenza della macchina negazionista e di rimozione in cui sono allineate lobby pro israeliane, partiti, politica ufficiale e gran parte dei media. Un universo parallelo in cui il movimento pacifico, multietnico ed ecumenico dei giovani è riformulato, contro ogni evidenza come ondata di antisemitismo da sopprimere – un’operazione pervasiva di dezinformatsiya destinata a rimanere negli annali della crisi epistemica di questi anni 20 (e ad avere imprevedibile peso sulle lezioni di novembre).

Le guerre – specie il conflitto israelo-palestinese – sta ulteriormente esacerbando il quadro politico destabilizzato in cui gli Stati uniti affrontano la stagione elettorale. Al centro di una plausibile crisi costituzionale si trova la Corte suprema. Il massimo organo giudiziario ha enorme peso nella traiettoria politica del paese e quest’anno potenzialmente sull’esito delle elezioni che potrebbe avere un ruolo nell’aggiudicare, specie se il risultato dovesse essere contestato.

Fu questo il caso nel 2000, quando il massimo tribunale assegnò la vittoria a George Bush fermando la verifica dei voti in Florida. Gore aveva vinto il voto popolate per mezzo milione di voti, in seguito diverrà chiaro che anche il Florida avrebbe vinto – se la Corte suprema non avesse congelato lo spoglio incompleto quando il repubblicano era in vantaggio per 500 voti. L’esito resta nella storia come uno dei più macroscopici fallimenti della democrazia indiretta ed intermediata degli Stati uniti.

Quei 500 voti che regalarono al mondo le guerre in Iraq e Afghanistan, permisero anche a Bush di designare a sua volta al massimo tribunale uno dei togati che rimane fra i più reazionari: Samuel Alito. Sarà un passo chiave nella blindatura politica che verrà poi portata a termine da Mitch McConnell e da un GOP radicalizzato che, controllando il Senato impedì nel 2016 a Obama di sostituire l’arciconservatore Antonin Scalia. La sua posizione vacante venne invece successivamente riempita da Trump. Altre due nomine della sua amministrazione portarono a compimento il disegno di allineare il tribunale con l’estremismo ideologico di destra.

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Oggi Samuel Alito guida la riforma “originalista” della Corte, una riformulazione oltranzista e radicale del ruolo del tribunale come guardiano di una “lettura esclusivamente “letterale” della costituzione del 1787. Con questo pretesto Alito ed altri giudici come Clarence Thomas, adducono “l’intento originale” dei padri fondatori per legittimare ed implementare l’agenda reazionaria. Il massimo esempio ad oggi è stata l’abrogazione dell’aborto (dato che nella carta fondativa del 18mo secolo non ve ne è menzione). Ma il teorema è facilmente espandibile, alla legalità degli anticoncezionali, ai diritti LGBTQ e delle donne e all’accesso al voto per le minoranze, visto che si tratta di diritti acquisiti tramite gli emendamenti costituzionali implementati solo in tempi successivi (Nell’anniversario della storica sentenza Brown v. Board of Education, che nel maggio 1954 portò all’integrazione delle scuole nel Sud, Clarence Thomas ha messo in dubbio la costituzionalità della desegregazione imposta allora da Eisenhower).

È questa la Corte suprema che avrà un ruolo forse fondamentale negli eventi politici attorno alle presidenziali. Per questo nelle prossime settimane emetterà una sentenza sull’immunità presidenziale a cui Trump si è appellato per invalidare il processo a suo carico per l’incitamento dell’assalto a Capitol Hill. L’imparzialità della Corte coi suoi 6 conservatori su nove (compresi tre designati dallo stesso Trump) è stata nuovamente chiamata in causa la scorse settimana con al rivelazione che Alito ha issato davanti alle sue case bandiere di solidarietà con gli “insorti” del 6 gennaio. Come Thomas, Alito non fa segreto delle proprie simpatie politiche e soprattutto non lo fanno le rispettive mogli, entrambe partecipanti attive nel movimento negazionista che sostiene tuttora l’illegittimità delle elezioni del 2020. Ma la crisi di legittimità, oggi, investe soprattutto la stessa Corte ed i togati con nomine a vita.