Le responsabilità sono accertate, ma nemmeno la terza sezione penale della Cassazione ha scritto la parola fine sulla strage ferroviaria di Viareggio, costata la vita a 32 persone fra cui tre bambini, e pesanti danni permanenti da ustioni a molti dei quasi cento feriti, salvati dai medici dopo sofferenze inenarrabili. Dopo quasi quindici anni e al termine del quinto processo complessivo, è stato disposto un terzo processo di appello a Firenze, limitatamente al ricalcolo delle pene in base alle attuanti generiche, per alcuni imputati fra i quali l’ex ad di Fs e Rfi, Mauro Moretti, e Michele Mario Elia, ex ad di Rfi. La procura generale aveva invece chiesto la conferma integrale della sentenza d’appello-bis: “Il leit motiv di tutta questa vicenda – aveva detto nella sua requisitoria l’avvocato generale Pasquale Fimiani – è che non ci si è posti il problema della sicurezza del trasporto merci perché si dava priorità ad altro”.

I giudici della terza sezione penale hanno poi rigettato i 18 ricorsi presentati dai legali degli imputati contro la sentenza emessa nel processo d’appello-bis che si tenne a Firenze nel 2022. In quell’occasione erano stati 13 gli imputati condannati, oltre ai responsabili civili Trenitalia, Fs, Rfi e Cima Riparazioni, con pene di 5 anni per Moretti, e di 4 anni 2 mesi e 20 giorni per Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia, e Michele Mario Elia, ex ad di Rfi.

Per tutto un interminabile giorno i familiari delle vittime riuniti nell’associazione “Il Mondo che vorrei” hanno atteso la decisione dei giudici in sit-in davanti alla scalinata del Palazzaccio in piazza Cavour, esponendo le foto dei loro cari scomparsi e chiedendo, ancora una volta, verità e giustizia. “Abbiamo sofferto per 14 anni e mezzo – ha spiegato Roberto Piergentili, ricordando i due nipotini e la nuora morti nella terrificante esplosione che devastò Viareggio – ora speriamo che arrivi giustizia”. Vicino a lui Claudio Menichetti, che indicando la foto della figlia 21enne Emanuela ha aggiunto: “Speriamo che questa volta sia l’ultima. Ci sono stati cinque gradi di giudizio e quattro sentenze di condanna. Gli imputati si aggrappano a qualsiasi cosa pur di non espiare la pena, ma dovrebbero fare almeno un giorno di galera per capire cosa hanno fatto”.

Quella notte del 29 giugno 2009 ci fu la più grande tragedia mai avvenuta sulla rete ferroviaria della penisola, innescata dal deragliamento all’altezza della stazione, per la rottura di un assile privo dell’obbligatoria manutenzione periodica, di un treno merci da 14 cisterne cariche di gpl che andava a 100 chilometri orari. Il gas fuoriuscito dal primo carro cisterna, squarciato da un picchetto di segnalazione delle curve, esplose come una gigantesca bomba, bruciando cose e persone nel raggio di centinaia di metri e cancellando l’intera via Ponchielli. Solo il durissimo lavoro dei Vigili del fuoco, impegnati per molte ore a spegnere le fiamme, fece sì che il disastro non assumesse dimensioni apocalittiche.

Dopo le condanne di primo e secondo grado, nel gennaio 2021 la Cassazione si era pronunciata una prima volta. La quarta sezione penale aveva confermato l’impianto accusatorio ma escluso, provocando non poche, giustificate polemiche, l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli incidenti sui luoghi di lavoro, cancellando così di fatto il reato di omicidio colposo plurimo.

Il secondo processo d’appello a Firenze, per riesaminare alcuni profili relativi al disastro ferroviario colposo e rideterminare alcune pene dopo la prescrizione dell’omicidio colposo plurimo, si era chiuso con le condanne di Moretti, Soprano ed Elia, di due responsabili di Cima Riparazioni, e dei loro colleghi dirigenti e tecnici di aziende ferroviarie austriache (Gatx Rail Austria) e tedesche (Gatx Rail Germania e Officine Jungenthal) addette al controllo e alla manutenzione dei carri merci.