Torna a destare profonda preoccupazione la situazione nel Nord Kivu, tormentata provincia della Repubblica democratica del Congo. Ieri le forze di sicurezza congolesi hanno aperto di nuovo il fuoco contro i manifestanti che erano tornati a riunirsi davanti a un compound della missione delle Nazioni unite nel paese (Monusco) nella città di Beni. Da giorni protestano, anche con sassaiole all’indirizzo dei mezzi Onu, per la mancata sicurezza che la presenza dei caschi blu dovrebbe garantire, ovvero per la perdurante mattanza di civili (70 vittime solo nelle ultime settimane) ad opera dei miliziani delle Forze democratiche alleate (Adf).

L’ultimo raid è avvenuto nel distretto di Masiani e ha provocato almeno otto morti. Radio Okapi riferisce di un manifestante morto sabato scorso negli scontri tra manifestanti e polizia durante analoghe proteste, mentre due poliziotti sono stati uccisi lo stesso giorno dai dimostranti. Altre proteste si registrano a Butembo, 54 km da Beni, con barricate infuocate nelle strade.

Da parte sua il capo della missione Monusco a Beni, Omar Aboud, ribadisce il sostegno alle forze armate congolesi, che lo scorso 30 ottobre hanno lanciato un’offensiva contro tutte le milizie ribelli attive nella regione. «Riesco a capire la frustrazione della popolazione – ha aggiunto – per ciò a cui è stata sottoposta nelle ultime settimane e da diversi anni, ma non è giustificabile attaccare le nostre strutture, i nostri veicoli e il nostro personale. In questo modo si finisce per favorire le Adf».

Gli attacchi stanno causando massicci spostamenti di popolazione in tutta la regione. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni unite (Unhcr), solo nella giornata di lunedì 18 novembre si sono registrati almeno 2.560 sfollati interni (il 91% dei quali donne e bambini). Nella zona si continua a morire anche per l’epidemia di Ebola, scoppiata nell’agosto 2018, che finora ha provocato oltre 2 mila decessi.