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Stop fiscal compact

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 23 settembre 2017

A fine 2017, il Fiscal Compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria), potrebbe essere inserito a pieno titolo nell’ordinamento europeo, divenendo giuridicamente superiore alla legislazione nazionale e rendendo irreversibili le politiche liberiste d’austerità.

Approvato nel marzo 2012 da 25 dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, il Fiscal Compact si colloca nel solco di una serie di trattati e regolamenti -Maastricht, Six Packs, Two Packs- che hanno impresso una svolta monetarista all’Unione Europea e hanno consentito l’affermarsi delle politiche liberiste, con un drastico peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.

Alcuni dati sulla situazione del nostro Paese sono più che indicativi. In questi anni si sono prodotti:

  • un forte aumento della povertà assoluta (1.619.000 famiglie pari a 4.742.000 persone) e della povertà relativa (2.734.000 famiglie, pari a 8.465.000 persone) (dati Istat 2016);
  • una decisa compressione del diritto alla salute, con 12 milioni di persone che hanno dovuto rinunciare alle cure e 13 milioni di persone che hanno avuto forti difficoltà a potersi pagare le spese sanitarie (7° Rapporto Censis 2017);
  • un costante aumento della disoccupazione, in particolare giovanile (37%, dati Eurostat-maggio 2017);
  • un aumento dell’abbandono scolastico precoce (15%, dati Commissione Europea 2016)

Il Fiscal Compact assume la trappola del debito pubblico come cornice indiscutibile dentro la quale costruire la gabbia per i diritti sociali e del lavoro e la privatizzazione dei beni comuni.

Basti pensare che, se dovesse essere confermato, il Fiscal Compact prevederà per il nostro Paese l’obbligo nei prossimi 20 anni a portare il rapporto debito-Pil dall’attuale 132% al 60%, con un taglio annuale della spesa pubblica di 50 miliardi.

A questo d’altronde mira l’inserimento del «pareggio di bilancio» in Costituzione, previsto dal Fiscal Compact e pedissequamente approvato dal Parlamento italiano, senza alcun referendum popolare, nel 2012.

Si tratta della definitiva consegna di tutto ciò che ci appartiene agli interessi delle grandi lobby finanziarie, nonché di una irreversibile sottrazione di democrazia, con scelte politiche ed economiche non più dettate dalla discussione democratica, bensì dagli algoritmi monetaristi.

Ma tutto questo può essere fermato: entro fine anno i Parlamenti nazionali devono discutere e decidere il destino del Fiscal Compact. Senza una forte presa di posizione dal basso, non v’è alcun dubbio di quale esito avrà la discussione parlamentare. Per questo Attac Italia ha promosso una petizione popolare online, a cui tutte le reti, associazioni e comitati possono da subito aderire e che tutte le donne e gli uomini possono da subito firmare.

Il Fiscal Compact è solo l’ultimo prodotto dell’Europa monetarista, ma inondare di firme il Parlamento per chiederne il ritiro rappresenta il primo passo per invertire la rotta e per riaprire la discussione su un’Europa oltre Maastricht e fuori dalle politiche di austerità.

Una petizione che chiede anche l’eliminazione del pareggio di bilancio dalla Costituzione e che sostiene l’avvio di una Commissione indipendente d’indagine (audit) sul debito pubblico italiano, al fine di verificarne la legalità giuridica e la legittimità sociale, a fronte del suo utilizzo come trappola per comprimere i diritti fondamentali delle persone, privatizzare i beni comuni ed espropriare la democrazia.

«O la Borsa o la vita» intimano le grandi lobby finanziarie. Diciamo loro che tutte e tutti abbiamo scelto la vita.

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