Si vis pacem, para bellum. Il succo del discorso di Jens Stoltenberg, il Segretario generale della Nato, intervenuto ieri alla commissione esteri del Parlamento europeo sembra rifarsi a quella locuzione latina tante volte citata a proposito degli investimenti militari. «Tutti vorremmo investire in qualcos’altro, ma il problema è che, a volte, bisogna investire in armamenti per assicurare la pace» ha infatti dichiarato il Segretario, aggiungendo che quando era primo ministro della Norvegia era di avviso diverso.

IN QUEGLI ANNI, «le tensioni calavano, vedevamo meno minacce e credevamo nella possibilità di lavorare con la Russia». Oggi, invece, nella sua posizione di comando dell’Alleanza atlantica, Stoltenberg vorrebbe che «tutti gli alleati rispettassero l’impegno» di spendere almeno il 2% del Pil per la Difesa. Dei 31 stati membri della Nato al momento 11 soddisfano le aspettative del Segretario, che tuttavia si dice «incoraggiato» dal fatto che dalle manovre finanziarie di quest’anno diversi governi aumenteranno la spesa militare, «inclusa la Germania». In altri termini, il riarmo non è più un tema da affrontare solo nelle riunioni di settore, ma una necessità che i vertici della Nato stanno caldeggiando in ogni sede istituzionale utile allo scopo. L’invasione dell’Ucraina ha portato anche a questo. E in tal senso non è fuori luogo affermare che la guerra nell’Est dell’Europa ci riguarda tutti.
Stoltenberg ha, naturalmente, incentrato il suo discorso sull’Ucraina, lodando le truppe di Kiev, che «guadagnano terreno al ritmo di 100 metri al giorno» (anche se ammette «forse non quanto speravamo»), e tornando a descriverne la controffensiva come «impressionante». Stoltenberg archivia così settimane di polemiche e malumori intorno allo stallo della manovra ucraina.

L’impressione è che una decisione dall’alto abbia imposto il cambio di registro e quindi l’incontro segreto tra i vertici dell’Alleanza e lo stato maggiore ucraino ad agosto, la visita di Blinken terminata ieri e il discorso al Parlamento dell’Ue hanno tutti lo stesso tono.

«NESSUNO ha mai detto che sarebbe stato facile. È stato detto chiaramente che sarebbe stata un’offensiva sanguinosa, difficile e dura» ha sottolineato a tale proposito il Segretatio, anche perché «le guerre sono per loro natura imprevedibili: ci saranno giorni brutti e giorni belli. Dobbiamo essere al fianco dell’Ucraina non solo nei momenti buoni ma anche in quelli cattivi». Ma le notizie sulla debolezza delle forze russe, sulla carenza di munizioni e lo scarso addestramento dei reparti al fronte, sui problemi interni all’amministrazione del Cremlino e perfino sull’eventualità che Putin venisse rovesciato (da Prigozhin o altri) non sono state inventate dall’opinione pubblica. Al contrario, forse quella che oggi viene definita da Kiev e da altri leader e generali mondiali come «eccesso di aspettativa» nasce proprio in seno agli stessi ambienti che ora ci invitano a non essere disfattisti. Con una boutade che stona con il volto fermo e la pronuncia scandinava, Stoltenberg ha poi chiosato: «Dobbiamo ricordare il punto di partenza: l’esercito russo era il secondo più forte al mondo e ora l’esercito russo è il secondo più forte in Ucraina».

MA QUESTI ULTIMI non hanno gradito la corsa al riarmo dei 28 Paesi europei della Nato e in particolare l’annuncio della fornitura di munizioni all’uranio impoverito da parte degli Usa. L’ambasciata russa a Washington ha definito «disumana» la decisione della Casa bianca. «Gli Stati uniti» sottolinea l’ambasciata, «trasferiscono deliberatamente armi con effetti indiscriminati». A rincarare la dose è intervenuto il portavoce del Cremlino Peskov, che ha citato la guerra nella ex-Jugoslavia e «l’aumento vertiginoso del numero di persone affette da cancro e altre malattie» a causa dell’esposizione a tali armamenti. Al di là dei proclami, anche la Russia, lo ricordiamo, possiede e usa munizioni all’uranio impoverito.